domenica 6 ottobre 2013

Mentre gli esuli parlano e raccontano la propria storia, i turisti si divertono con i loro sms. Così va il mondo in Italia.

Oggi, sociologicamente parlando -e da ieri è ufficiale anche in Italia- esistono soltanto due classi: gli esuli e i turisti.
Ieri ho seguito con interesse e curiosità la diretta televisiva del dibattito alla Camera. Quando ha parlato l'onorevole del M5s, Federico D'Incà,  ho avuto la prova definitiva del lancio delle due classi. A differenza dei suoi colleghi, il deputato ha optato per una narrativa mediatica diversa e differente da quella paludosa degli altri deputati, il cui fine consisteva nel sottolineare l'ingresso in aula del concetto di cittadinanza, coadiuvata dall'affermazione -e dalla promozione- dell'esistenza dei social networks, della rete, delle voci e delle opinioni della gente comune e normale. Ha cominciato a declinare -giustamente firmate solo dai nomi propri- le idee dei cittadini italiani, i più disparati, diversi tra di loro, sia nel linguaggio che nella forma. Mano a mano che leggeva, in realtà twittando in parlamento a voce alta, il suo intervento mi ha provocato una connessione sinaptica interiore. Era come leggere un vecchio libro famoso italiano, di grande successo sociale, pubblicato da Einaudi a metà degli anni '60, ignoto a chiunque oggi abbia meno di 45 anni, "Lettere dei condannati a morte della resistenza italiana". L'onorevole D'Incà mi è apparso come un esule in patria che stava parlando a un gruppo di turisti. I membri del governo (dopotutto stava parlando una persona che in quel momento rappresentava il cuore, le idee, le percezioni, le esistenze tangibili di quasi  9 milioni di contribuenti fiscali) erano distratti e ridacchiavano. Il Ministro degli Esteri, Emma Bonino, ovviamente (e inconsciamente) era disturbata nell'accorgersi in un lampo quanto fosse diventata inutilmente vecchia, visto che, all'inizio del suo intervento, Federico D'Incà -molto probabilmente senza neppure esserne consapevole- aveva detto quasi le stesse identiche cose declamate dalla stessa Bonino venti anni prima nella stessa aula (la parola che mi ha evocato questa associazione è stata "partitocrazia")  La nostra ministra, invece di ascoltare con attenzione puntigliosa, visto che ci rappresenta all'estero, si è messa a leggere i suoi sms con una esibizionista disinvoltura forse per manifestare pubblicamente il suo totale disinteresse. La mimica era molto chiara, quella della turista che osserva con bonomia gli accadimenti presso una etnia altra, diversa dalla propria.
Il governo in carica è composto da turisti.
Come i gruppi di stranieri, magari intelligenti, attenti e colti, che vengono in Italia, vanno a Venezia in gondola, visitano la Galleria degli Uffizi a Firenze, passeggiano per i trulli del Salento, fanno una gita in barca tra i faraglioni di Capri, cenano a lume di candela davanti al Colosseo a Roma, e quando vanno via hanno le lacrime agli occhi sostenendo che l'Italia è un paese meraviglioso, unico al mondo, con gente stupenda, pieno di ogni dovizia immaginabile, insostituibile. Lo è. Per i turisti, appunto. Ed è comprensibile.
Se domani andassi in Birmania, etnia e paese di cui so poco o nulla, è quasi sicuro mi comporterei nello stesso modo. Rimarrei affascinato dalle bellezze locali e forse l'anno dopo ci ritornerei pure, senza rendermi conto di come vive la gente, di ciò che accade, di quali siano le contraddizioni reali del posto, ben nascoste dalla pàtina offerta, per l'appunto, ai turisti danarosi.
La nostra classe dirigente politica vive così.
Nel più bel paese del mondo, che visitano di continuo, dalle Alpi al canale di Sicilia, in una continua scorribanda ricca di suggestioni, umori, odori, sapori, con la leggerezza trasognata di chi sta in perenne vacanza, con la consueta bonomia che hanno i ricchi turisti quando commossi osservano le barche dei vecchi pescatori a Camogli, al tramonto. Non sanno, nè a loro interessa, ciò che c'è dietro quelle vite, ciò che accade nelle esistenze dei locali.
Ieri, per una manciata di secondi, il più importante industriale italiano -dal punto di vista politico- cioè Giorgio Squinzi, in quanto Presidente di Confindustria, ha vissuto l'epopea da esule in patria.
Probabilmente a sua insaputa.
Alle ore 13.10 nell'aula del Senato, il premier Enrico Letta aveva dichiarato: "......il governo del fare ha operato con successi tangibili e reali, magari piccoli ma sostanziosi, abbiamo pagato 12 miliardi di euro dei debiti della pubblica amministrazione alle aziende che vantavano i crediti.....".
Alle ore 18.06, mentre il premier parlava alla Camera dei Deputati, una giornalista di Rainews ha intercettato Squinzi all'uscita da un convegno. Senza riferire da dove avesse ricavato la cifra gli ha chiesto conferma. Squinzi ha risposto: "Non mi risulta affatto. Posso dire che al 28 settembre 2013 sono stati versati solo 7 miliardi di euro". Poi si è dileguato proseguendo la sua passeggiata da turista. Poco dopo, il rappresentante dei giovani industriali di Confindustria ha specificato che di quei 7 miliardi soltanto 490.000 euro sono finiti alle aziende. Sono stati versati infatti alle banche che avevano anticipato il credito (con notevole interesse) nel 2011, nel 2012, nel 2013. Il fatto è che il 93% delle 175.900 aziende che hanno ricevuto quei soldi non esistono più. Negli ultimi tre anni sono fallite restituendo la partita Iva, quindi, non risultano più nel còmputo dei contribuenti fiscali.
Sono soldi che sono andati a coprire i cosiddetti "debiti inesigibili in sofferenza" delle banche.
Enrico Letta, quindi, ha detto una bugia? Ha dichiarato una cifra falsa. Non è una novità, lo sapevamo.
Càpita ai turisti.
Qualcuno ha riferito a Squinzi ciò che -in un paese normale- sarebbe potuto anche diventare immediatamente un piccolo bisticcio politico da affrontare subito. Qualche ora dopo (è stata la sua grande giornata da esule) Squinzi ha commentato. "Ma come è possibile che siamo finiti in questa situazione insostenibile? Quando ci daranno un paese normale?". Una frase da esule in patria.
Ma la notte porta consiglio.
Già questa mattina, il nostro bravo Squinzi ha ripreso le sue passeggiate in visita al Colosseo, in gondola a Venezia, in barchetta ai faraglioni, in gita ai trulli. Non sia mai.
Queste sono le due uniche classi esistenti in Italia, oggi: esuli e turisti.
Lavorare per il cambiamento, per la speranza di un rinnovamento, per abbattere un anti-storico e impresentabile sistema feudale di stampo medioevale, significa, oggi, fare il salto da turista a esule.
Assumere dentro di sè la consapevolezza che siamo stati sequestrati da un gruppo di turisti spensierati.
Rinfocolare la propria passione civica, alimentando la nostalgia, per sottrarsi alle suggestioni del marketing turistico.
Fare propria questa discriminante che è molto più attuale del gioco stantio dei bussolotti ideologici, perchè un fascista turista o un comunista turista è, prima di ogni altra cosa, pur sempre solo e soltanto un turista.
Gli esuli in patria sono una categoria altra.
Come si studiava nei libri di storia quando si leggevano le lettere dei fuoriusciti che stavano in Svizzera e chiedevano alle mogli o alle mamme notizie sui vecchi amici, sul cibo, sulle feste tradizionali, con la speranza ferma e decisa di poter un giorno ritornare a casa.
Ascoltando ieri l'originale intervento di Federico D'Incà, a me ha provocato lo stesso effetto.
Frasi lontane che nella mia mente hanno evocato persone anonime nascoste da qualche parte in qualche lontanissimo luogo straniero, e mi sono identificato con quella comunità di esuli, perchè così ci trattano e questo siamo.
Un paese dove la cittadinanza, per intero, è stata sequestrata da un manipolo di volgarissimi turisti.
Chiassosi, spendaccioni, sempre inclini all'allegria collettiva, leggeri e conviviali. Indifferenti.
Questo passa il convento nel Gran Regno d'Ipocritania.

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mercoledì 2 ottobre 2013

Scontro al Congresso Usa: lo Stato più potente del mondo dichiara fallimento. E in Italia.....?


Siamo al 70esimo posto al mondo come libertà di stampa, siamo considerati la seconda nazione più corrotta nel campo dell'informazione in tutta Europa, seconda soltanto alla Bulgaria. Ma siamo pur sempre la prima, come livello di piattezza, servilismo, mancanza di informazione alla cittadinanza, sia tra i 28 paesi della Unione Europea che tra quelli della zona euro. Come "aderenza ai fatti reali che accadono nel mondo", l'Onu ci posiziona al 172esimo posto al mondo.
Fine della premessa, diciamo così, pedagogica.
Utile e necessaria per introdurre l'argomentazione del giorno, la notizia bomba del giorno, prima pagina da ieri pomeriggio in tutto il mondo planetario, con l'eccezione della Repubblica Italiana.
La notizia è la seguente:
"Dalle ore 6 di questa mattina, 1 ottobre 2013, l'amministrazione Usa è fallita".
Non è roba da poco, se permettete.
Il fatto ha comportato l'immediato licenziamento di 800.000 dipendenti pubblici.
Il fatto ha comportato il crollo dei bpt statunitensi sul mercato.
Il fatto comporta la necessità da parte di 1 milione di persone di andare a lavorare sapendo che non verranno pagati.
Il fatto ha un costo di 300 milioni di dollari al giorno che -dati alla mano- se non si interviene provocherà entro la fine di ottobre un crollo di tutti i derivati legati alla spesa pubblica statunitense e un'accelerazione esponenziale dei meccanismi di recessione che determinerà, inevitabilmente, l'esplosione di una crisi finanziaria planetaria.
E' il prezzo della pace.
E' il conto che i colossi finanziari e la destra occidentale hanno presentato al mondo per punirli, visto che Obama e Rouhani (il premier mussulmano iraniano) hanno "osato" parlarsi tra di loro, hanno "osato" aprire un tavolo di colloqui e hanno fatto sapere che "stanno osando" porre fine al cosiddetto scontro di civiltà tra Occidente e Asia Minore aprendo una stagione di coesistenza pacifica tra mondi diversi, tra etnie distinte, per investire risorse sia economiche, che politiche, che psicologiche, nel risolvere i veri problemi dell'umanità: lavoro e occupazione.
Il tutto è nato perchè Barack Obama ha finito per cedere ai consigli di Bill Clinton e soprattutto a quelli dei premi Nobel per l'economia Joseph Stiglitz e Paul Krugman: "vai a vedere il loro sporco e immondo bluff". I repubblicani al Congresso, infatti, frustrati perchè non c'è più la guerra sulla quale investire, hanno ricattato il governo in carica: "o si cancella la riforma sanitaria, o si abbatte il debito e si tagliano 500 miliardi di dollari subito all'istruzione, alla sanità, ai servizi pubblici, oppure noi blocchiamo costituzionalmente l'emissione di moneta per impedire che superi il tetto consentito e quindi mandiamo lo Stato in default".
Obama non ha ceduto.
Non solo.
Ha sostenuto pubblicamente che "il debito non è il vero problema, quella è una illusione, è una cartina di tornasole; il vero problema è avviare un piano mondiale di investimenti massicci nel mondo dell'economia reale per creare subito occupazione".

La destra repubblicana ha scelto i licenziamenti perchè evidentemente vuole la guerra civile.
E così, il popolo americano, da questa mattina dibatte di politica, si occupa della realtà, argomenta sul proprio futuro, sul significato del liberismo, ormai smascherato nella maniera più impietosa: agenti di colossi finanziari, camerieri e maggiordomi assunti sotto diverse fogge, il cui unico obiettivo consiste nella difesa a oltranza degli interessi di una esigua oligarchia del privilegio e della rendita. A costo di applicare il muoia Sansone con tutti i filistei.E' esattamente ciò che stanno facendo anche in Italia, perchè gli Usa, come è noto, mostrano e segnalano sempre i trend. E' bene saperlo. Penso lo stiano capendo anche i bambini.Se non li mandiamo via al più presto, manderanno loro a casa tutti noi, perchè questa è la strategia dell'Aspen Institute, del club Bilderberg, dei membri della Trilateral.Per tutte queste persone, da Letta a Berlusconi, da Monti a Passera, noi cittadini siamo semplicemente, nè più nè meno, che un danno collaterale.Siamo numeri, non persone.Se non ci facciamo sentire, vedere, e non esibiamo la nostra identità, seguiteranno a pensare che neppure esistiamo.
Che Sansone s'arrangi e crepi sotto le macerie.
Peggio per lui che si è fidato di Dalila e si è fatto tagliare i capelli.
Non è colpa nostra.

Quindi, il conto, non lo paghiamo noi: è bene spiegarlo a chiare lettere.

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mercoledì 11 settembre 2013

#SonoUnMoralistaDelCazzo


Ieri, alla Camera, alla richiesta del M5S di espellere i delinquenti, si è levato alto il grido "Moralisti del cazzo!". I nominati del pdl e del pdmenoelle si sono indignati. E' un paradosso che invece di accompagnare alla porta Berlusconi, un delinquente condannato in via definitiva, i nominati dai capibastone del pdmenoelle e dal truffatore fiscale, volessero buttare fuori noi, i cosiddetti moralisti (del cazzo). Siamo fieri di essere moralisti del cazzo e soprattutto di starvi sul cazzo. Il vostro tempo è finito, è questione di mesi e voi lo sapete, per questo reagite come un qualunque ladruncolo sorpreso con le mani nel sacco. Ieri sembravate tonni dentro una tonnara. Noi siamo i moralisti del cazzo, quelli che hanno rifiutato i rimborsi elettorali, che si sono tagliati gli stipendi, che hanno rinunciato alle auto blu. Noi siamo i moralisti del cazzo che non vogliono condannati in Parlamento, che mantengono la parola data agli elettori, gli unici a votare alla Camera per la decadenza del Porcellum. Noi siamo i moralisti del cazzo che hanno votato contro l'acquisto dei cacciabombardieri F35, che hanno chiesto il ritiro delle nostre truppe dall'Afghanistan. Noi siamo i moralisti del cazzo che hanno chiesto conto alla RAI del miliardo di euro dato a cinque società esterne delle quali non viene reso noto neppure il nome. Noi siamo i moralisti del cazzo che vogliono restituire al Parlamento il suo ruoloche è espropriato dal governo con i decreti legge. Noi siamo i moralisti del cazzo e ne siamo fieri. Senza questi moralisti del cazzo, il pdmenoelle avrebbe ancora una volta salvato il suo vero leader, Berlusconi, e non è detto che non ci riesca, di sicuro ci sta provando i tutti i modi con azzeccagarbugli e legulei in servizio permanente. E' vero, siamo moralisti del cazzo e vogliamo moralizzare la vita pubblica, il Parlamento, ogni Comune, ogni istituzione. Vogliamo che l'onestà torni di moda, che i semafori rossi vengano rispettati, che i ladri finiscano in galera, che Camera e Senato diventino dei luoghi rispettabili e non dei postriboli della democrazia."Questi sono i cittadini a Cinque Stelle/ Occhio d'aquila, gamba di cicogna/ denti di lupo, baffi di spinoso/ alla canaglia grattano la rogna.". Al voto subito. Fuori i delinquenti dal Parlamento!

Tratto da http://www.beppegrillo.it

mercoledì 4 settembre 2013

Gli Stallisti

Beppe Grillo Ombelico

Leggo sul Corriere, in questo articolo, che in relazione alla metafora scacchistica usata da Grillo per dire che i neri non si possono alleare con i bianchi qualcuno avrebbe così commentato: “Gli scacchi sono un gioco bellissimo. Mi spiace leggere che chi ne parla non sappia che esiste lo stallo!“.
Un commento simile, se riportato correttamente, lascia innanzitutto trasparire una lettura poco attenta del post oggetto della critica, il quale testualmente dice: “A differenza degli scacchi in questa partita non è previsto il pari, ma solo lo scacco matto.”. Quell’ “A differenza degli scacchi” implica correttamente che negli scacchi un terzo tipo di risultato esista eccome (lo stallo secondo le regole odierne determina il risultato di “patta”, cioè di parità), e che l’autore della metafora (Grillo) ne sia perfettamente consapevole.
Ciò premesso (che taglia la testa al toro), la parte che più lascia perplessi è la conclusione di quella che evidentemente voleva essere una critica, ovvero: “Spiace leggere che chi ne parla non sappia che esiste lo stallo!“. Il contesto è infatti quello della linea dei cosiddetti “aperturisti”, cioè coloro che vorrebbero mettere in discussione la possibilità di formare alleanze con il PD (che trovano una loro rappresentanza nelle posizioni di Luis Orellana). Ci si aspetta dunque che chi critica la metafora degli scacchi (“o si vince o si perde”), proponga una terza via che sia migliore rispetto a quella prospettata. E qual è la terza via proposta dall’autore del commento? Lo stallo.
E guarda i video:

"Siamo ancora arrabbiati?"

"Le regole sono uguali per tutti!"


"Le promesse si mantengono... tutti a casa!!!"

domenica 1 settembre 2013

La verità su come stiamo, 2



L’Italia registra oggi la maggior sofferenza nel mondo del lavoro dall’inizio della crisi nel 2007, fra disoccupati, cassintegrati e giovani costretti al precariato. Ok, e ci dicono che c’è ripresa.
Gli italiani riducono gli acquisti sempre più, e nel giugno del 2013 si registra un calo del 3% rispetto allo stesso periodo nel 2012 (Istat), che si assomma al crollo già registrato delle vendite in Italia. Sono cifre che sembrano piccole, ma che invece si traducono immediatamente in fallimenti aziendali e licenziamenti. Infatti le nuove procedure di fallimento nel 2013 riguardano ben ulteriori 129.000 aziende/negozi. Ok, e ci dicono che c’è ripresa.
Le banche europee persistono nel NON erogare prestiti alle aziende e famiglie nella quantità minima necessaria per mandare avanti l'economia. La BCE ci dice che le banche stanno meglio in salute, ma lo stesso non prestano. Noi della ME-MMT sappiamo perché: le banche prestano SOLO se l'economia tira, ma con le Austerità europee non tirerà MAI, quindi... non ci vuole un genio. La cosa è drammatica, e chiunque alla mattina vada a lavorare in azienda invece di farsi seghe con Internet lo sa. Ok, e ci dicono che c’è ripresa.
I BRICS, cioè i Paesi cosiddetti emergenti come Brasile, India, Cina, stanno collassando nell’oblio della storia economica, con il valore dei loro assets che crolla ogni giorno in borsa, e con le stime di lungo termine che parlano di “fine del miracolo per i Paesi emergenti”. Sapete cosa significa questo? Che la scommessa per cui la Germania ha distrutto l’Europa – cioè, noi tedeschi devastiamo il sud Europa con l’euro, quindi troviamo lì lavori a due soldi grazie proprio alla crisi che abbiamo creato, e quindi vendiamo prodotti a basso prezzo ai BRICS fatti impiegando quei lavori – fallirà, perché i BRICS sono in bolletta. Ergo: milioni di sud europei hanno sofferto e soffriranno per l’anima del cazzo. Cioè quel progetto criminale addirittura non beneficerà neppure chi l’ha voluto, cioè Berlino.
Qui non ci vuole una Norimberga per i crimini sociali commessi dalla zona euro e dalla Germania, ma un attacco nucleare. Ciao. PB

domenica 25 agosto 2013

Il senso del limite

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Oggi, a seguito della lettura di un libretto di Petrini e Olmi, ragionavo sul fatto che il primato dell'economia nella vita dell'umanità è brevissimo, non sono neanche tre secoli, se lo facciamo partire dalla rivoluzione industriale. Prima di allora il primato dell'attività umana da chi era detenuto? Dall'agricoltura? Dall'arte? dalla letteratura? Quando sono state realizzate opere senza tempo, come quelle dei grandi maestri dell'arte e della letteratura, della musica e delle scienze, l'economia non era certamente la scienza primaria, ce n'erano almeno cinque o sei. 
Oggi riduciamo tutto a mere espressioni economiche, a indicatori tanto generici quanto distanti anni luce dalla rappresentazione della realtà. Chiediamo a questa disciplina di governare tutta la nostra esistenza, riducendola a un passaggio materiale su un pianeta terra.
È come se dei genitori si preoccupassero semplicemente di mostrare ai loro figli l'estratto conto periodicamente, sottolineando che, grazie all'intenso lavoro di mamma e papà, la loro famiglia è in grado di permettersi il regolare pagamento del mutuo per la casa, per la macchina, per la villetta al mare, per tutti i giochi e le tecnologie più avanzate. Poco conta che quei genitori non vedano che i propri figli sono malnutriti, psicologicamente e moralmente provati e disturbati dall'assenza e dalla inettitudine dei genitori, e magari pure ignoranti e incapaci di costruire serie relazioni sociali.
Oggi i nostri genitori nelle Istituzioni, dal condannato, a Bersani, a Monti, a Letta, si preoccupano e si sono solo preoccupati di mostrarci gli sforzi per avere l'estratto conto corretto. Mentre un buon padre di famiglia dovrebbe occuparsi della qualità di vita dei suoi figli, del loro accrescimento culturale, della loro maturazione equilibrata, sana, in pace e in armonia con la società e l'ambiente circostante. È giunto il tempo di ridare il giusto peso e senso all'economia, ipotizzando un nuovo riferimento culturale, nonché linguistico. È ormai insopportabile sentir parlare ministri, politici, imprenditori, al pari di come parlavano i loro pari 50 o 60 anni fa.
E hanno ragione Petrini e Pallante quando dicono che questa nuova dimensione deve avere come obiettivo primario il governo del limite. Lo diceva Beppe Grillo nell'introduzione ad un testo di Pallante: la parola che i politici dovrebbero pronunciare maggiormente è la parola MENO. 
In qualsiasi nostra azione, sia essa economica, culturale, nei rapporti sociali, la capacità di limitarsi con saggezza deve diventare prioritaria. Un senso del limite che diventa una conquista di cui essere orgogliosi, perché nel governare i limiti scopriamo i componenti che danno gioia all'uomo. 
Anche perché non c'è nulla di più inaccettabile, ingiusto e ormai intollerabile dello spreco di cibo. Produciamo cibo per 12 miliardi di esseri viventi, siamo più di 7 miliardi, 1 miliardo soffre di malnutrizione, di fame, buttiamo via tra il 40-45% della produzione alimentare. Mai successo nella storia dell'umanità. Lo spreco è all'opposto della gestione del limite, e lo spreco di cibo, ai danni di persone che soffrono la fame, dovrebbe obbligare tutti i politici a tutti i livelli a rivedere tutte le loro convinzioni, soprattutto in termini di politiche agricole e di sovranità alimentare. In contemporanea, vergognosamente, i sistemi informativi ignorano le questioni, tutti attenti a sproloquiare sul condannato e sulle sue preoccupazioni.
Se oggi, per disgrazia, un evento qualsiasi causasse la morte di 25.000 persone, tutti gli organi di comunicazione si dedicherebbero a parlare di questo dramma. Bè, oggi sono morte 25.000 persone per fame, e per sete, sono morte ieri, moriranno domani. Nessuno ne parla. 
Chiunque oggi dia valore ad espressioni quali crescita economica, espansione, PIL, e a tutti quei fondamenti economici che hanno generato il controllo delle nostre vite, ingrassando alcune parti del mondo, portando alla morte per fame e per sete altre parti del mondo, accetta questo sistema ormai criminale. Oggi, i partiti politici italiani, nessuno escluso, ad eccezione del M5S, si rifanno ancora a questi modelli criminali, portandoci verso il baratro e la disperazione.
Sono convinta che i concetti a cui si rifà il M5S, quali quelli della decrescita e della sovranità alimentare, del diritto al cibo e all'acqua pubblica, dell'istruzione pubblica, dell'auto sufficienza energetica, solo per citarne alcuni, possono essere tradotti concretamente, a beneficio di tutti, solo con un ricambio politico profondissimo, che riesca davvero a esprimere persone slegate da lobby, ordini, caste, banche.
Noi non molleremo mai...".
Silvana Carcano, portavoce MoVimento 5 Stelle Consiglio Regionale Lombardia

mercoledì 21 agosto 2013

Nucleare: il Giappone fa paura. Verità su Fukushima

Alla fine le autorità costrette a lanciare l'allarme più alto in due anni. "Stanno avvelenando l'intero Oceano Pacifico (video).




ROMA (WSI) - Alla fine, l'allarme è arrivato. Dopo la fuoriuscita di 300 tonnellate di acqua altamente radioattiva dalla centrale di Fukushima, il governo giapponese ha alzato il livello di allerta al Livello 3, che corrisponde a un "incidente radioattivo grave" su scala internazionale. Si tratta dell'allarme più alto in due anni. Sui mercati si è diffuso il panico e alla Borsa di Tokyo i guadagni accumulati sino a quel momento sono evaporati completamente.

Inizialmente, le autorità giapponesi avevano classificato la gravità della perdita di materiale radioattivo al livello 1, il più basso, su una scala di 7 livelli. Ma l'autorità nucleare ha dovuto ammettere la pericolosità dell'accaduto. 

Dal disastro dello tsunami che si è verificato l'11 marzo del 2011, e che ha fatto scattare l'alert mondiale sulla centrale di Fukushima, le informazioni sui reali pericoli dell'impianto nucleare sono state sempre frammentarie e contraddittorie. Tanto che il mondo ha dimenticato quasi la presenza della centrale. 

Nelle ultime ore, l'agenzia di stampa Kyodo ha reso noto che una pozza di acqua contaminata rinvenuta nel sito sta emettendo 100 millisievert di radiazioni all'ora. Intervistato da Reuters, Masayuki Ono, general manager di Tepco, la società proprietaria del sito, ha ammesso che "100 millisievert l'ora sono il limite di esposizione accumulata nell'arco di cinque anni dai dipendenti che lavorano per la centrale; dunque, si può dire che abbiamo rinvenuto livelli di radiazione abbastanza forti da colpire un individuo con una dose di radiazione di cinque anni in un'ora". 

Ultimamente è stato lanciato un avvertimento da Greenpeace. "Greenpeace chiede alle autorità giapponesi di fare quanto è in loro potere per risolvere questa situazione, aumentando la trasparenza...e avvalendosi di esperti internazionali che li aiutino a trovare una soluzione". 

L'acqua radioattiva presente nel terreno di Fukushima si sta riversando nel Pacifico, e fino a40.000 miliardi di becquerel (unità di misura del Sistema internazionale dell'attività di un radionuclide, con 1 Bq che corrisponde ad 1 disintegrazione al secondo) si stanno riversando nell'Oceano Pacifico. E questo lo ha ammesso la stessa Tepco: tra i 20.000 e i 40.000 miliardi di becquerel di trizio (isotopo radioattivo) si sono riversati nell'oceano.

Allo spettro del 'tapering' della Fed, sui mercati asiatici si aggiunge dunque un'altra minaccia. L'Indonesia ha accusato uno scivolone del 10% in cinque giorni, la Thailandia è scesa ai minimi di otto mesi e la valuta indiana continua a subire una svalutazione senza fine. 

martedì 20 agosto 2013

Debito per coprire debito: finito il fallimento?


Vi ricordate che a ottobre l'ex-Assessore alla Sanità, Monferino, tuonava che la Regione era tecnicamente fallita?
Dal dicembre 2010, la Giunta Cota, compreso il disastro finanziario in cui la Giunta Bresso ci aveva lasciati, derivati inclusi, non aveva più chiuso un bilancio.
Oggi, a distanza di pochi mesi, si grida al miracolo: la Regione Piemonte è riuscita ad approvare il bilancio nei termini, pagherà i fornitori in "tempi europei" ed il fallimento sembra scongiurato.
Merito del rimpasto di Giunta di marzo, con il neo-Assessore al Bilancio, Pichetto? Di sicuro, l'ex-parlamentare di bilancio ne mastica, ma il segreto sta nel grosso aiuto di Roma, parlo del Decreto Legge 35 (sblocca pagamenti). 
Il DL35 è nient'altro che un'anticipazione di cassa (cioè un prestito) per pagare i fornitori di tutti gli enti pubblici che sono alla canna del gas: l'hanno studiato ed emendato i nostri nuovi parlamentari, si parla di circa 40 miliardi di euro in due anni, di cui almeno 3,3 miliardi andranno al territorio piemontese e 2,8 alla Regione Piemonte, di cui più di 1,2 miliardi già nel 2013 (803 milioni di euro per crediti sanitari e 447 milioni per crediti non sanitari) ed il resto nel 2014.

Tutti esultano, ma se ben si ragiona, si tratta solo di nuovo debito per sanare altro debito. Pur essendo vero che a fine 2012, ormai i pagamenti erano allo sbando, con i fornitori pagati a 300 giorni e crisi in diverse Asl e consorzi socioassistenziali, nonché aziende del trasporto pubblico locale ed il rischio di non pagare gli stipendi. 
Però sempre di nuovo debito trattasi. Per coprire tale debito, la Giunta Cota ha aumentato l'addizionale Irpef per un importo pari a circa 170 milioni di euro annui a partire dal 2014 (48 nel 2013), per i prossimi 30 anni.
Quindi, azzereremo il debito con i fornitori nel 2014, ma abbiamo aumentato il debito ad oltre 9 miliardi di euro (il debito consolidato ancora non si conosce, ma si dice ben sopra i 10 miliardi). Il rendiconto 2012 infatti ce l'avevano presentato con un disavanzo di 1,15 miliardi di euro come vedete:

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giovedì 15 agosto 2013

Basta bugie e motivi fasulli, l’acquisto degli F-35 è inutile ed insensato e per questo motivo va fermato


Dopo le esternazioni odierne del Ministro della Difesa Mauro, rilasciate in contesto di audizione ufficiale al Senato ("Si dice che se ci ritiriamo dal programma per i caccia F35 non avremo penali. Ma abbiamo già speso 3 miliardi e mezzo di euro per la portaerei Cavour - ce ne sono solo due in Europa, l'altra e' la francese Charles de Gaulle - che dovrebbe ospitare gli F35 a decollo verticale. Allora non capiremmo per quale ragione abbiamo speso quei soldi"), è importante sottolineare alcuni aspetti. Le vere “notizie” derivanti dalle dichiarazioni di oggi sono tre.
Per prima cosa si conferma quanto la campagna “Taglia le ali alle armi” dice da tempo: per la struttura del programma F-35 attualmente non sono previste penali in quanto gli accordi e i contratti (sottoscritti con il Governo degli Stati Uniti e non con Lochkeed Martin e per questo motivo soggetti ai cicli di acquisto USA) vengono definiti annualmente. Per questo motivo basta bloccare la decisione di acquisto per ciascuno dei lotti successivi, anche se iniziati con pre-acquisti di alcuni pezzi, per azzerare qualsiasi onere futuro sui velivoli. Un elemento da sempre sottolineato dalle campagne che si oppongono al cacciabombardiere, ma che è stato addirittura ancora utilizzato da diversi esponenti parlamentari nel corso delle recenti discussioni alla Camera ed al Senato sulle mozioni “NO F-35”. 
In secondo luogo, emerge chiaramente la scarsa considerazione in cui è tenuto il Parlamento costretto in questi anni (e numerose volte, di recente) a sorbirsi numeri fasulli e non completi relativamente al programma F-35 ed alle situazioni ad esso connesse. Come è accaduto oggi nel conteggio dei costi sostenuti per la Portaerei Cavour - i 3,5 miliardi sono una cifra molto al di sopra del prezzo di produzione della stessa e probabilmente comprendono anche le spese sostenute per la gestione, l’esercizio e l’addestramento – e come già successo nei giorni scorso proprio a riguardo del caccia F-35. Lo stesso Ministro Mauro ha infatti dichiarato pubblicamente che i 90 caccia in previsione costeranno 12 miliardi di euro (confermando le stime di “Taglia le ali alle armi”) dicendo però che i primi esemplari costeranno circa 100 milioni di euro con un presso in discesa (60 milioni) per i successivi esemplari. Come sia possibile con un costo totale che, con una semplice operazione di algebra elementare, comporta una media di costo a velivolo di oltre 130 milioni di euro resta un mistero che il Ministro dovrebbe chiarire meglio…
Infine, la terza sottolineatura è sull’affanno con cui il Ministero della Difesa e i fautori del programma JSFcontinuano e cercare di giustificare questa scelta difendendo l’indifendibile. Non potendo addurre motivazioni strategiche, militari ed operative serie (se non il reiterato “sono indispensabili” che dovrebbe chiude ogni possibile replica e che fa sembrare altamente ridicola l’accusa di “ideologia” avanzata verso i gruppi pacifisti e disarmasti) si continuano a cercare le motivazioni più disparate e inconsistenti. Dalle penali, ormai smentite, al ritorno occupazionale che non regge più nemmeno con previsioni ridotte ai minimi termini. Dalle possibili ricadute tecnologiche, assolutamente scarse e che avremo semmai fra diversi anni, fino al ritorno industriale che secondo il Ministro dovrebbe addirittura superare in valore assoluto la spesa totale del nostro Paese. Sarebbe un vero e proprio “miracolo italiano” per un progetto di cui siamo solo subfornitori in percentuali basse e senza nemmeno una spinta utile in direzione di ricerca e sviluppo. Fino ad arrivare al tentativo (continuo, di recente) di giustificare l’acquisto dei caccia F-35 come mera conseguenza della precedente scelta di varare la portaerei Cavour. Un “effetto domino” costoso e insensato che non reggerebbe in qualsiasi altro contesto(voi giustifichereste l’acquisto di nuovi treni ultraveloci con i costi già assunti per la costruzione e la gestione delle stazioni in cui si fermeranno?). 
Ma le prese di posizione paradossali non finiscono qui… Nelle dichiarazioni odierne il Ministro Mauro ha anche sottolineato come: "La Difesa nei paesi europei è inefficiente perché ciascuno va per la propria strada. I dati del 2011 indicano che i Paesi europei hanno speso nel complesso 29,2 miliardi di euro per l'acquisizione di sistemi d'arma ed equipaggiamenti ma di questi, solo 7,3 miliardi sono andati a programmi di acquisizione condotti in cooperazione tra due o più Paesi dell'Unione". E la domanda sorge immediatamente spontanea: tra i paesi europei che stanno andando per la propria strada privilegiando una coproduzione extra-UE e succube invece delle indicazioni strategiche ed operative di Washington non c’è proprio l’Italia con la sua ostinata decisione di proseguire nell’acquisto dei caccia F-35? Qualcuno (in Parlamento o nel Governo) lo può spiegare al Ministro Mauro?

Tratto da http://nonviolenti.org

domenica 11 agosto 2013

Bruce Sterling incontra Gianroberto Casaleggio

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Bruce Sterling è un autore di fantascienza statunitense. Celebre perMirrorshades, un'antologia di racconti di fantascienza del 1986 che ha contribuito a definire il filone cyberpunk, Sterling ha pubblicato diversi romanzi di fantascienza, testi di tipo giornalistico e alcuni saggi. Collabora al mensile Wiredper il quale ha incontrato Gianroberto Casaleggio.
di Bruce Sterling
"L’ho incontrato ne suo ufficio di Milano. Abbiamo parlato di una gran varietà di argomenti. Si è dimostrato lucido e chiaro. Non è affatto oscuro o misterioso. È praticamente trasparente. Con Casaleggio quello che vedi, compri. Ha l’aspetto di uno stratega internet con le abitudini semplici di un militante ecologista. E ha quell’aria lì perché lo è davvero...

giovedì 8 agosto 2013

La strage degli innocenti della Terra dei Fuochi

In Italia non paga mai nessuno, ma per questi delitti, questa volta, qualcuno deve pagare

di Ilaria Puglia, pubblicato il 17 luglio su Parallelo 41, in occasione dell'imminente visita del ministro De Girolamo nella Terra dei Fuochi
"Caro ministro De Girolamo, che tra due giorni sarà qui, nella Terra dei Fuochi, vorrei raccontarle una storia, anzi, tre. Da donna a donna, da mamma a mamma. Vorrei spiegarle come l’assenza di controlli sui prodotti agricoli (perché in Campania i controlli non sono affatto capillari come dovrebbero) uccide. Come le mancate bonifiche uccidono. Come la dieta mediterranea (al veleno), da lei lodata, fatta a Caivano, Acerra, Giugliano, Orta di Atella, Succivo, Marcianise, e via dicendo, uccide. Le racconto la storia di Mesia, Francesco e Luca, 4, 8 e 19 anni. In genere i bambini e i ragazzi si descrivono per i tratti del viso o i giochi che amano di più, ma non stavolta. Stavolta glieli indico per quello che li ha portati alla morte: tumore, leucemia, inquinamento, Terra dei fuochi, follia. I loro genitori sono strani, sa? Sono intontiti dal dolore. Hanno una ruga profonda sul viso e occhi spenti. In quegli occhi, per quanti sorrisi possano venire dai figli rimasti, i fratelli, e dalla vita che ricorda ogni giorno che bisogna andare avanti, ci sarà per sempre un velo di opacità. Mai più trasparenza, mai più innocenza cristallina. L’innocenza, in quei genitori, è morta. Con Mesia, Francesco e Luca.
Antonella e Pasquale sono i genitori di Francesco De Crescenzo. Anzi, erano,perché Francesco non c’è più. È morto a 8 anni per un osteosarcoma con metastasi polmonari. Parole che suonano ancora più violente se associate a un bambino, parole che quel bambino non poteva capire. E che invece hanno dovuto capire, in qualche modo, i suoi genitori. Antonella e Pasquale hanno rispettivamente 36 e 40 anni, altre due figlie più grandi e la morte nel cuore. Abitano a Marcianise. Nella terra dove altre persone come loro hanno deciso di interrare rifiuti tossici, veleni e ogni porcheria che si possa immaginare. Francesco era un bimbo sorridente e gioioso, sa, uno di quelli vivacissimi che scendono le scale a due gradini alla volta perché sembra abbiano fretta di vivere.
Un giorno, a 6 anni e mezzo, Francesco si sveglia con un forte dolore alla gamba. I genitori, naturalmente, pensano subito a una botta, a uno strappo, perché il piccolo corre sempre, proprio non gli riesce di stare fermo. “Non avevamo idea”, dice Antonella. E come avrebbe potuto immaginare? Suona terribile anche solo a pensarla, una cosa simile. La pediatra quasi si infastidisce per tanta insistenza, da parte della mamma, a fargli fare una radiografia: “Disse che noi mamme siamo sempre troppo apprensive...”, racconta Antonella. E infatti gli prescrive una cura con una pomata e niente radiografia. Dopo 5 giorni, Francesco ancora si lamenta, non dorme più dal dolore. I genitori lo portano di nuovo dalla pediatra ma trovano la sua sostituta: la gamba di Francesco è gonfia e calda. “Ci disse di andare di corsa all’ospedale di Caserta – racconta Antonella – che avrebbe anche chiuso lo studio per accompagnarci, se volevamo”. A Caserta l’ortopedico lo capisce subito, appena vede l’orrore celato in quella gamba. Fanno finalmente la tanto desiderata radiografia e all’improvviso la dottoressa con la lastra in mano inizia a chiamare altri medici, tanti, nessuno parla. Tutti guardano la radiografia. Muti. L’ortopedico, alla fine, sentenzia: osteosarcoma con metastasi polmonari, il tumore più frequente in età pediatrica. Sa, ministro? Un’alta percentuale di casi di osteosarcoma si registra nelle aree altamente inquinate. “Era il 27 dicembre 2011 – continua Antonella – non dimenticherò mai quella data”. Francesco è morto per le metastasi, il 30 giugno scorso, dopo un anno e mezzo di calvario e 24 chemioterapie. A 700 metri da casa sua abita un’altra bambina malata. E non solo lei. Già, il caso. Colpisce sempre gli innocenti, il caso. Il medico del Pausillipon che li prende in cura durante la malattia di Francesco dice chiaramente ai genitori che la causa di questo orrore può essere l’inquinamento. “Francesco giocava e io preparavo la valigia per andare a fare le chemio – è questo il ricordo della mamma – Con lui non ho mai usato la parola ‘chemio’, la chiamavo solo ‘terapia’”. Per proteggerlo, come se potesse, Antonella. Aveva tanta voglia di vivere, Francesco: “Mica devo morire, mamma?” chiedeva a chi gli aveva dato la vita, come se solo lei potesse rispondere. Al papà, invece, chiedeva aiuto: “Papà, aiutami tu”, diceva. “E io mi sentivo un vigliacco impotente”, dice Pasquale. Ora Antonella e Pasquale sono rimasti con le loro due figlie e ogni volta che una delle due sta poco bene entrano in ansia. “Ultimamente mia figlia si lamentava per il mal di testa – racconta Antonella – le ho fatto fare la risonanza”. Pasquale non vuole andare via da Marcianise: “E perché devo andare via? Per fare spazio a chi ha ucciso mio figlio?”, domanda. E noi restiamo in silenzio.
In ospedale Francesco ha conosciuto Mesia Nasi, 4 anni, di Succivo. C’è una foto che li ritrae insieme mentre giocano sul lettino, senza capelli ma sorridenti. Imma, la mamma di Mesia, sembra una bambina. Ha occhiali dalla montatura sottile e occhi innocenti e puri: “Io la mia lotta l’ho persa – esordisce – vivo per proteggere l’altro mio figlio che ha 3 anni. Se non ci fosse stato lui io ora forse non sarei qua”. Quando ha 3 anni, nel 2012, Mesia inizia ad accusare un dolore nel fianco, tanto da chiedere di continuo al padre di portarla in ospedale perché si sente male. E così inizia il giro dei reparti e dei medici. Qualcuno le diagnostica un accumulo di feci: una massa di 12 centimetri sotto il reneliquidata come stitichezza. Ma il pediatra di famiglia si insospettisce e li manda all’ospedale di Caserta. Da lì al Pausillipon il passo è breve. La diagnosi è una rasoiata in faccia: neuroblastoma surrenale. Sa, ministro? Negli ultimi anni diversi casi di neuroblastoma si sono registrati in Puglia, nella zona di Margherita di Savoia, dov’è attiva un’azienda chimica. Mesia viene operata, ma dopo due giorni il male ricompare, più forte di prima. La massa si riforma: 8 cm in due giorni. Un’aggressività mai vista: normalmente ci vogliono 5 mesi per raggiungere una dimensione simile. “Non ce l’aveva quando la portavo in grembo– si arrabbia Imma – In gravidanza sono stata seguita da un genetista perché abortivo. Mia figlia era sana”. Imma è molto attenta all’alimentazione della sua piccola, come tutte le mamme: brodino con verdure fresche, minestrone, lenticchie. Si fa comprare sempre sedano, carote e pomodori da sua mamma per il brodino vegetale. E adesso non si perdona. “Ci mandano a morire come gli ebrei ad Auschwitz – dice – Quello che vorrei dire, in piazza, è che quello che ha respirato mia figlia l’hanno respirato anche i loro bambini. Ho accompagnato mia figlia in chiesa per il suo funerale, ma avrei dovuto accompagnarla per la prima comunione, o per sposarsi! Quello che vorrei si capisse è che può capitare a tutti: il brodo lo danno tutti ai propri figli. Quella è una cellula che parte, basta pochissimo”. Mesia è morta a 4 anni, il 26 febbraio 2013. 
E poi c’è Luca Lampitelli, 19 anni, di Orta di Atella. Quando incontriamo sua madre Angela (occhi azzurro mare e una dignità che solo gli sconfitti silenziosi hanno) crediamo di aver già sentito tutto ciò che le nostre orecchie e il nostro cuore di genitori può sopportare. E invece no, ci sbagliamo. Il calvario di Luca è durato più di 2 anni. Una storia in cui il Natale ricorre come un incubo: “Sono anni che non festeggiamo neanche più”, racconta Angela. Inizia tutto quando Luca ha 16 anni: all’inizio di dicembre 2009 viene colpito da una febbre continua. Un ragazzo attivissimo, che non si ferma mai, grande tifoso del Milan. Al pronto soccorso di Frattamaggiore gli danno l’antibiotico, ma al terzo giorno Luca diventa verde: non ce la fa a camminare ed è sempre stanco. Lo trasportano d’urgenza al Cardarelli e lì gli diagnosticano la malattia: leucemia linfoblastica acuta, una patologia tra le cui cause c’è l’inquinamento. “Nel reparto vedevo tutti senza capelli e non capivo cosa mi aspettava – racconta Angela –Anche Luca si interrogava e le altre mamme mi abbracciavano e piangevano”. Le prime chemio iniziano alla vigilia di Natale. Luca risponde bene, non si abbatte, è lui a consolare sua madre. Passano le feste in ospedale. Ad Angela dicono che gli hanno applicato il protocollo dei bambini, più efficace, e che starà bene. Ad agosto 2010 completano il primo ciclo della terapia, con le radio. Al controllo, a settembre, risulta tutto in ordine, ma a novembre entra di nuovo in terapia. Prima di allora i medici non hanno mai parlato della necessità di un trapianto. Quando gli chiedono dove preferisca farlo, Luca sceglie il San Martino di Genova perché gli amici conosciuti in ospedale gliene hanno parlato bene.Capisce, ministro? Luca gli amici se li era fatti in ospedale, tanto passava più tempo lì che altrove. A 17 anni. Il primo trapianto glielo fanno il 24 febbraio, grazie al fratello. Restano a Genova per 5 mesi, affittano persino una casa, Angela e sua figlia Giusy: “Mi è stata sempre vicino, si è persa un sacco di tappe della sua vita”, racconta sorridendo. Luca perde 11 kg per le normali conseguenze del trapianto.
Il secondo trapianto glielo fanno il 7 maggio 2012, stavolta la donatrice è la sorella. Il 7 dicembre 2013 torna da un controllo in ospedale e racconta che la dottoressa lo ha trovato bene. “Allora decidemmo finalmente di festeggiare il Natale – racconta Angela – gli dissi ‘Luca, che dici, vogliamo fare il presepe?’. Ma mentre scendeva in cantina a prendere l’occorrente arrivò la telefonata da Genova. Era l’11 dicembre. La dottoressa gli disse che la malattia era riapparsa”. Lui resta muto al telefono, poi prende le chiavi della macchina e esce, per rimanere solo. Riprende le chemio al Policlinico di Napoli il 20 dicembre. Poi il dramma. Il 29 inizia a non sentirsi bene. Ha i decimi di febbre, ma la notte la febbre sale a 40. La mattina dopo sviene: non cammina più, non si regge in piedi, la leucemia ha attaccato i muscoli. Riprende le chemio, mentre i medici controllano di continuo tutti i suoi organi, irrimediabilmente compromessi. La notte di Capodanno la passano così. “Io pensavo fosse come le altre volte – racconta Angela – ma mio figlio non reggeva neanche più il telefono in mano”.
Il 2 gennaio, Luca inizia ad avere problemi di respirazione. Prima lo attaccano all’ossigeno, poi lo portano in terapia intensiva. Il dottore dice che le cose “sono molto molto peggiorate”. Alle 11 del mattino i medici dicono ad Angela che sono stati costretti a sedarlo: “Non ci hanno neanche avvisati prima di farlo”, si commuove Angela. Trascorrono così dieci giorni. Luca ha tre arresti cardiaci, ma resiste. Vuole vivere a tutti i costi. Poi, il 12 gennaio 2013, non ce la fa più e muore. “Noi eravamo in ospedale, in sala d’attesa e loro chiamarono mio marito a casa per avvertirlo. Non ebbero neppure pietà di una povera mamma. Me lo fecero vedere su un tavolaccio della sala mortuaria”, piange Angela. La sorella di Luca si è laureata ieri: “Ma io non ci sono andata, lei ha detto che non aveva voglia di festeggiare, il fratello non c’è più”, racconta la mamma.
Nell’ospedale di Genova c’erano tante persone dalla Campania. “La dottoressa ci chiese che diavolo avessimo nel nostro territorio da determinare uno spostamento di massa simile”, racconta Angela. A novembre è morta un’amica di Luca, una ragazza che era entrata in ospedale poco prima di lui. “Luca mi disse che così come erano entrati in ospedale ne stavano uscendo, morti”. Luca si era diplomato a pieni voti nonostante non avesse frequentato la scuola a causa della malattia. Voleva fare l’infermiere, dopo il diploma. Era diventato un esperto di medicinali, ormai. Ma non ne ha avuto il tempo: la dieta mediterranea (inquinata), e i veleni, e i composti chimici, e la sua terra lo hanno ucciso. “Mio marito non riesce a guardare le sue foto”, dice Angela.
Ecco, ministro, le guardi lei le foto di Francesco, Mesia e Luca. E non dimentichi mai più."