venerdì 31 agosto 2012

PAOLO BARNARD PROPONE L'UNICA GENIALE SOLUZIONE IMMEDIATA.


"Fare un passo avanti: diventare cacche!" 
Paolo Barnard, 10 maggio 2012. Titolo del suo ultimo post.

Questa mattina, presto, andando a spulciare la rete e facebook sono rimasto davvero colpito, il che non capita spesso. Al di là delle consuete notizie, ce n’era una in particolare che attirava la mia attenzione: lo sdegno, sui social networks, di parecchi seguaci del giornalista Paolo Barnard contro di lui.
Il cosiddetto popolo degli indignati che si indigna contro il Re dell’indignazione.
Per me, equivaleva a una notizia.
Alcuni di loro li conosco personalmente anche nella vita reale e ho visto, più tardi, che nelle loro bacheche hanno manifestato apertamente il loro dissenso contro Barnard. E così, sono andato a leggermi l’articolo che aveva suscitato una così feroce levata di scudi. 

Che cosa avrà scritto? (pensavo mentre il computer caricava il sito) Magari è diventato il segretario del nuovo PDL di Alfano, o ancora peggio propone a tutti una colletta per investire in derivati di Goldman Sachs oppure sostiene di andare in giro a mettere delle bombe in parlamento. 
Morivo dalla curiosità, e avevo deciso che non sarei intervenuto.

Leggendolo, più volte e con attenzione, ciò che più mi ha colpito è stata la mia reazione: un enorme sollievo, perché mi ha chiarito (e risolto) un mio profondo disagio di questi tempi.
Tutto ciò, prima ancora di introdurre l’argomentazione, per dire che plaudo e appoggio al 100% l’interpretazione attuale di Paolo Barnard; mi beccherò la mia quota parte di dissenso avendo scelto deliberatamente di sostenere con vigore la sua elaborazione contestata.

Chi conosce e segue Barnard sa come il suo linguaggio così vivido sia sempre intriso di una indubitabile rabbia manifesta (è uno che scrive con la bava alla bocca) il che lo accredita di un plusvalore perché sintetizza gli umori di noi tutti e rende autentica e percettibile la sua scelta di vita; ma allo stesso tempo, più d’una volta, (è una mia modesta idea personale) corre il rischio di essere fuorviante perché fa perdere l’autenticità della solida argomentazione, troppo intrisa di livore per poter essere contundente come dovrebbe. Qui di seguito, cito in copia e incolla, alcuni brevi passaggi, e invito i lettori ad andare a leggerselo.

Scremato dalla sua rabbia, sono due le potentissime argomentazioni di Barnard che hanno indignato gli indignati: 1). Piantatela di fare i bèceri, e mettetevi in testa che dovete rimboccarvi le maniche e studiare. Perché davanti a voi non c’è un esercito di beceri analfabeti (tipo il Trota) bensì fior di cervelloni con venti lauree in economia che vi mangiano in padella quando e come vogliono. 2). Preso atto del primo punto, ne consegue che la più intelligente –e unica- battaglia da fare in questo momento tragico, consiste nell’andare dagli imprenditori più evoluti, sensibili e intelligenti, e spiegare loro che l’alleanza che può rappresentare la svolta consiste nel diventare finanziatori sponsor degli studiosi intellettuali che tireranno fuori come frutto dei propri studi ed elaborazioni la maniera migliore (la più pragmatica, efficace ed efficiente) per abbattere gli squali. E’ soltanto dall’incontro tra menti eccellenti /pensanti /contemplative /studiose/analitiche e industria imprenditoriale che può nascere il cambiamento. Senza idee, massimo sei mesi da oggi, la CONFINDUSTRIA sarà stata spazzata via dal mercato (la previsione è mia non è di Barnard) perché senza idee non ce la faranno. Ma chi produce idee, oggi, è fuori dal mercato e ha bisogno di finanziamenti. Quindi, ci si mette insieme: L’INDUSTRIA CHE PRODUCE e la CULTURA CHE PRODUCE..

Dal mio punto di vista, in Italia, la Vera Rivoluzione Democratica tanto auspicata.

E invece, tutti indignati.

Basterebbe questo tipo di reazione per comprendere quanto e profondo sia difficile, in questo momento, organizzare un contro-attacco vincente contro l’attuale piano economico-politico lanciato dalla oligarchia finanziaria sovra-nazionale per eliminare gli stati,.
cinesizzare il mercato del lavoro, espoliare le nazioni della loro locale spina industriale, annientare la classe media, nazificare il pensiero, silenziare le menti pensanti, e chiudere una volta per tutte (secondo loro) l’arrogante e presuntuosa pretesa degli esseri umani europei di aspirare e combattere per l’affermazione di quei princìpi di libertà, fratellanza e solidarietà che dai tempi di Locke e Voltaire sono stati la base formativa che ha creato ricchezza collettiva e Bene Comune Condiviso. 235 anni di Storia.
Che intendono spazzare via con un colpo secco..

E ci stanno riuscendo.

Lo volete capire, o no?

Scrive Il Re degli Indignati contestato:

Basta teatro. Basta. Sono anni che chiedo di piantarla coi teatrini dei movimenti, predicatori di internet, associazioni, grilli, agnoletti, benettazzi, chiesaioli, barnardini, beni comuni, noTavolani, twitteri ecc. Sono anni che dico che si deve studiare come pazzi e poi reclutare cervelli eccezionali almeno fin dove ci è possibile. Bisogna reclutare imprenditori e fargli capire che siamo nella stessa barca, noi dipendenti e loro, e da questi farci sponsorizzare quei cervelli, cioè creare Fondazioni e Think Tanks che lavorano per noi. Vi ho portato a Rimini cinque esperti proprio per impostare un flebile inizio su livelli di grande professionalità. Non sto vedendo nulla di competente nascere da ciò, solo fuffa di internet e gruppi che dopo 5 pagine di MMT già pensano che a Citigroup gli tremano le gambe a leggerli nei blog. 

Impietoso quanto veritiero. E’ proprio così. La nuova realtà ci offre oggi, in Italia, una miriade di liste civiche, pseudo raggruppamenti, collettivi, movimenti, i quali –nella migliore delle ipotesi- non saranno in grado di prospettare nessuna alternativa né fattibile né credibile per il semplice motivo che latitano di pensiero intellettuale, di Cultura, cavalcati, alimentati da chi manipola il disagio attuale già pregustando di realizzare la propria ambizione nel divenire (se va bene) dei ben accolti valvassi o valvassori nel Nuovo Medioevo Eterno che hanno intenzione di costruire per noi.

E’ necessario un altro passo. Un’altra mentalità. Bisogna mettersi in gioco personalmente, individualmente, esistenzialmente, anche a costo di correre il richio di rinunciare ai minimi argini di sicurezza ottenuti finora. Perché è chiaro come il sole che anche quelli, in breve tempo, verranno risucchiati via dalla marea. Mica avvertiranno prima.
.
Sostiene il Re degli indignati contestato:

Guardate che per loro noi non siamo neppure cacche. Una cacca non è alcun pericolo, ma almeno la noti. Non essere neppure cacche significa che proprio noi, per loro, non sussistiamo. E devo dire che dal loro punto di vista, il punto di vista del Vero Potere, in effetti non può che essere così. Questo siamo, o sarebbe meglio dire non-siamo, io, voi, ovvero tutti quelli che sono nati cittadini comuni con occupazioni comuni e che poi più tardi hanno scoperto che esiste il Vero Potere Neoclassico, Neomercantile e Neoliberista, e che si sono decisi a combatterlo. Per il Vero Potere non siamo neppure una cacca letteralmente. Non si sono mai curati neppure di sapere se esistiamo o no. Vi scrivo questo solo per darvi il senso realista delle proporzioni fra gli schieramenti in questa lotta, perché sono veramente stanco di far parte di sto circo della rete dove forse proprio nessuno ha capito quanto seria è la questione di come affrontare il Vero Potere. Io sono nel web non per scelta, sia chiaro, sono qui al confino, costretto all’esilio in sto luogo, che detesto, dalla censura di chi sui media non mi vuole più neppure in fotocopia, cioè tutti. Voi potete fare quello che volete, mentirvi quanto volete, essere ridicoli eppure credere di essere in gamba, ma io sono stanco, non ne posso più di movimenti, di predicatori di internet, di associazioni, grilli stellati, agnoletti, benettazzi, chiesaioli, barnardini, beni comuni, noTavolani, twitteri ecc. Non ne posso più di internettari tossici all’ultimo stadio che mi scrivono “Barnard ha visto sto video? Sconvolgente!!!! Cosa ne pensa?????”. My God! Adesso lo guardo e poi chissà che cosa succedeeeeee. E quelli che aprono le pagine su Facebook… quelli lì, QUELLI LI’, tenetemi fermo….
Le proporzioni fra tutta sta agitatissima fuffa e loro, il Vero Potere, sono deprimenti come poche cose al mondo. Guardate, vi posso dire una cosa certa, ma certissima, ok? Nelle stanze di Citigoup o dell’IIF o di Business Europe o della Trilaterale, o della Exor, del Lotis, del WTO, di AXA, o di Carlyle, della Commissione UE nessuno mai neppure per 30 secondi ha pensato una sola volta a tutti voi movimenti, predicatori di internet, associazioni, grilli, agnoletti, benettazzi, chiesaioli, barnardini, beni comuni, noTavolani, twitteri ecc. Cioè, detta alla bruta, non ci cagano neppure di striscio, proprio mai coverti, come dicono i veneti. Zero.


Personalmente parlando, negli ultimi mesi mi è capitato di partecipare a diversi incontri, seminari, colloqui, confronti, di quella che sta diventando la nuova moda sociale collettiva italiana del 2012: un nuovo partito “diverso” dagli altri. Ma il linguaggio è sempre lo stesso, anche se, nei migliori esempi, è semplicemente camuffato; tanto, la maggior parte delle persone è convinta che la Cultura sia Wikipedia, le striscette di facebook, e qualche bel discorsetto intinto delle nuove parole d’ordine che oggi fanno il nuovo mercato della politica: bene comune, condivisione, diritto alla cittadinanza, no alla casta, no ai privilegi, ecc. Basta usare queste parolette “magiche” e sono tutti contenti pensandosi rivoluzionari. Sempre mercato della politica è. Ormai abbiamo neo-miliardari che guidano le rivolte, esponenti della casta che costruiscono associazioni contro la casta, analfabeti che parlano di Cultura, e presentatori televisivi che si sono auto-eletti a maitre de penser presentandosi come la neo classe di intellettuali.

La soluzione sta nel capovolgere questo meccanismo per ritornare dal mercato della politica alla politica del mercato. 
La finanza oligarchica non è mercato: chi lo crede è caduto vittima di un falso ideologico. Tant’è vero che per loro non esiste la legge della domanda e dell’offerta, il rapporto prezzo/qualità, il costo sociale. Viaggiano secondo altre coordinate il cui fine è (lo spiego qui in maniera sintetica e divulgativa) politicamente “abbattere la logica centrale dell’economia del libero mercato nel nome del libero mercato” un paradosso che sta costruendo una società insensata, per cui è necessario riappropriarsi del Senso per poterla combattere. Ma senza Cultura non c’è acquisizione del Senso. 
Dal punto di vista economico, il loro obiettivo consiste in “eliminare il concetto di classi sociali, di concorrenza, di competitività, per dar vita a una società economica formata da due uniche classi riconoscibili: schiavi e cupola finanziaria oligarchica che stabilisce chi deve produrre e chi no e come lo deve fare e per quanto e fino a quando”.

L’articolo di Barnard mi ha ricordato un aneddoto che mi ha raccontato un mio amico argentino a Buenos Aires, tre anni fa, quando ancora vivevo in Argentina. Perché ha a che vedere esattamente con ciò di cui parla Barnard. Guillermo (così si chiama il mio amico) è un professore di pedagogia infantile, un consulente del governo nella sezione istruzione pubblica ma ha partecipato a molte riunioni di governo della coppia Kirchner, soprattutto all’inizio quando era anche sottosegretario ai beni culturali. Mi raccontò quando i Kirchner presero il potere e una volta insediati, dopo qualche mese, ricevettero la delegazione della Banca Mondiale e del Fondo Monetario Internazionale, allora guidato da Dominique Strauss Kahn. All’uscita dalla riunione, i Kirchner erano sbiancati. Lui, Nestor, più sanguigno, iroso e viscerale della moglie (e meno colto) capì subito come si erano messe le cose. Disse, per l’appunto, a Guillermo “io so soltanto che non ho capito nulla di quello che hanno detto, ma proprio nulla; ma una cosa, questa sì, l’ho capita: questi si portano via tutta la repubblica argentina, compresi i ghiacciai del polo sud. Siamo davvero nella merda”. Sua moglie, invece, più accorta (una solida sindacalista) si confidò con i consulenti intimi e fedeli, alcuni dei quali, ammisero perfino di essere stati convinti sia dalla Banca Mondiale e dal FMI che l’attuazione del loro piano era una bella cosa. “Ci spiegarono” mi raccontò allora Guillermo “che per riprendersi dalla nostra catastrofica situazione visto che eravamo andati in default e stavamo barcamenandoci ma non riuscivamo a trovare il bandolo della matassa, bisognava opera una manovra che consisteva nell’attuare delle strategie neo-liberiste di grande austerità e rigore, comprimendo la spesa pubblica per non avere inflazione; convincere a fare altrettanto ai boliviani, cileni e uruguaiani, con i quali poi –con la benedizione dell’Europa- avere una moneta unica nuova che avrebbe anche potuto emettere dei bot che sarebbero stati garantiti dalla BCE che avrebbe anticipato i soldi gestendoli. In pratica, dal punto di vista economico diventavamo una piazza finanziaria dell’euro”. 

Gli argentini si resero conto che non avevano la cultura tecnico-specifica adeguata per poter rispondere in maniera argomentata. Nestor Kirchner era furibondo. Guillermo mi raccontava che “dava l’impressione di essere uno messo all’angolo; ammetteva di non aver capito niente ma allo stesso tempo andava in giro a dire ci hanno preso per degli indiani con la piuma in testa e si presentano da noi con gli specchietti magici, una frase che aveva fatto il giro della classe politica. Ma Cristina, invece, che non aveva incarichi di responsabilità, ma aveva il potere sul capo del governo che esercitava in camera da letto, ebbe una fulminante intuizione. Convinse il marito a darle carta bianca per trovare le persone giuste, nel frattempo che acquistasse tempo con gli europei. Ed è quello che fecero”.

Cristina si fa un giro internazionale e si rivolge a Joseph Stieglitz, ma non si capiscono. 

Si fa presentare a Paul Krugman, il quale le spiega che essendo il responsabile dell’economia per la elezione di Obama (eravamo tra il 2005 e il 2006) non poteva occuparsi della questione, ma le consiglia vivamente Christina Rohmer, una sua allieva, divenuta ordinario di economia finanziaria applicata all’università di Berkeley in California. Cristina la chiama e si piacciono subito, anche perché la Rohmer era diventata bilingue e parlava perfettamente lo spagnolo. E così, Cristina (l’argentina) vola a San Francisco e si incontra per dieci giorni con la Christina (l’americana). Chiudono un accordo. Ritorna in patria e comunica al marito l’esito, ma lui non ne vuole sapere perché odia gli statunitensi dato che loro avevano appoggiato la dittatura militare 15 anni prima. Ma lui era molto innamorato e lei lo convince, nonostante avesse tutto il partito contro.

Mi raccontava Guillermo “Lì si è giocata la sua carriera politica. Un mese dopo, arriva la Rohmer con 12 consulenti personali al seguito, piuttosto giovani, tutti bilingui. Ma c’era soltanto un economista, tutti gli altri erano esperti in diritto internazionale, diritto finanziario, diritto legale tra nazioni. Si sono chiusi in un ufficio e lì per quindici giorni, insieme ai consulenti del governo argentino hanno letto e spulciato tutte le proposte della Banca Mondiale, della BCE e del Fondo Monetario Internazionale. Un mese dopo convocano la riunione con gli europei. Io stavo lì. Il gruppo dei consulenti (soltanto tre parteciparono) vennero presentati come personalità di governo. Si comincia la riunione e a un certo punto, dopo un segnale, uno degli uomini della Rohmer prende la parola e comincia a contestare i punti uno per uno, spiegando perché non funzionavano ed erano illegali. Inizia una discussione che si protrae davvero molto a lungo. Gli europei decidono di rimanere altri due giorni invece di un solo pomeriggio. E il giorno dopo ricominciano. Finchè al terzo giorno, alla fine gli europei chiedono: insomma, che cosa avete intenzione di fare? E allora viene consegnato il piano della Rohmer. Gli europei lo bocciano subito dicendo che è una follia che distruggerà il paese in due anni. Loro tengono duro. Inizia un battibecco. Alla fine uno dei tre minaccia gli europei: avete violato dei comma specifici del diritto internazionale e adesso ve lo dimostriamo; come stato sovrano noi siamo in grado di poter denunciare al tribunale internazionale dell’Aja la BCE. Vi facciamo causa per 50 miliardi di euro, per voi è una cifra ridicola, a noi ci basta. Ricominciano a discutere. La mattina dopo, gli europei accettano le condizioni argentine”.

Dopo tre giorni i consulenti legali se ne vanno e ritornano in Usa. La Rohmer, a quel punto, fa arrivare gli economisti keynesiani che gestiscono per quattro mesi di seguito, insieme al governo, le modalità di esecuzione del piano economico che in quattro anni porta l’Argentina dal 45esimo posto al mondo come solvibilità e potenza economica al 12esimo.

Oggi,a Buenos Aires, sono nate due specifiche università dove studiano soltanto il funzionamento dei meccanismi perversi della finanza speculativa applicata. Per accedervi, bisogna già essere laureati in Economia e in Diritto Internazionale.

Per questo motivo mi è piaciuto l’articolo di Barnard.

Non prendetevela per il suo tono un po’ burbero. 
E’ fatto così.
Ma ha ragione al 100%.

Se veramente volete fare qualcosa di propulsivo, mettete su un gruppo che si occupi UNICAMENTE di trovare la strada vincente per andare a bussare in Confindustria e spiegar loro che devono investire immediatamente qualche milione di euro per lanciare dei think tank italiani.
E’ la strada più veloce e facile da percorrere.
Ma lo devono fare subito se ci tengono a salvare l'industria nazionale.
Crea lavoro, occupazione intellettuale, ma soprattutto produrrà idee..
Senza di quelle, vincono gli altri.
Tutto il resto, come dice Barnard “è fuffa”.
Mascherato, più o meno, dalla tintura inzuppata nel brodo mediatico che va di moda in questo specifico momento..

Sergio Cori Modigliani
Fonte http://paolobarnard.info/intervento_mostra_go.php?id=380

mercoledì 29 agosto 2012

PDmenoelle a carbone

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"Recentemente si è scoperto che la centrale a carbone 'controllata' dal tesserato numero 1 del Partito Democratico De Benedetti ha tenuto nascosti per 6 anni alla cittadinanza gli inquietanti dati sull'inquinamento ambientale di Savona, con valori elevatissimi, mai riscontrati in Italia! Chi è il fassissta?
Il PD non ha speso una parola di sdegno sull'occultamento alla cittadinanza da parte diTirreno Power dei dati di grave inquinamento del territorio. Chi è il fassissta?
Il PD vuole nuovi gruppi a carbone di maggiore potenza, che dureranno per altri 50 anni, nonostante la contrarietà di 18 comuni e della popolazione. Chi è il fassissta?
A Savona ci sono state 2.664 morti premature in più in 16 anni; se in Italia (ogni anno su 100.000 abitanti) muoiono 7 donne per tumore ai polmoni, a Noli ne muoiono ben 36. Più di 5 volte tanto. E il PD non ha mai voluto dare una probabile spiegazione del perché.
Chi è il fassissta?
Da anni volevano provare a convincerci, con comunicati stampa e sponsorizzazioni, che 'andava tutto bene, che si poteva persino ampliare la centrale a carbone, ma ci hanno tenuto nascosti dati devastanti di inquinamento del territorio, valori in molti casi molto più alti dei valori massimi mai riscontrati in Italia.
Nel frattempo, anche le indagini ambientali dei periti della Procura di Savona pare stiano evidenziando 'sofferenze pesanti' e dati allarmanti di inquinamento, nell'ambito del fascicolo aperto per omicidio colposo plurimo (per adesso a carico di ignoti).
Malgrado ciò, PD e PDL vogliono egualmente ampliare la centrale, con nuovi gruppi a carbone di maggiore potenza che inquineranno per altri 50 anni e questo incuranti del volere contrario della grande maggioranza di cittadini, associazioni, partiti, incuranti delle delibere contrarie dei 18 Comuni interessati, incuranti del parere dei medici e degli esperti, incuranti dei molti esposti, delle diffide legali, delle interrogazioni parlamentari, delle petizioni, incuranti dell’inchiesta della Magistratura per igravissimi reati di “lesioni colpose e omicidio colposo plurimo”, incuranti dell’interessamento di tv e giornali nazionali, dell’opposizione dei principali intellettuali italiani, incuranti dei tassi di mortalità altissimi nella provincia di Savona (con migliaia di morti premature in più rispetto alla media regionale). Questo pur ben sapendo della insufficiente misurazione delle nocive polveri PM2,5 e PM1 da parte dell’ARPAL (i cui dirigenti regionali peraltro sono indagati dalla Procura di Genova in altre circostanze proprio per falso e turbativa d’asta), della mancanza di controlli pubblici delle emissioni delle ciminiere della centrale (il controllo è effettuato dalla stessa Tirreno Power: il controllato è anche il controllore!), della mancanza di controlli pubblici degli scarichi idrici (il controllo è effettuato dalla stessa Tirreno Power), della non ottemperanza di molte prescrizioni, della mancanza da anni di Autorizzazione Integrata Ambientale dovuta per legge, di valori di inquinamento di aria, acqua e terreno fuori norma (l’inquinamento dei fondali marini davanti agli scarichi della centrale arriva a essere anche 100 volte superiore ai limiti di legge!), dell’assenza di una indagine epidemiologica, dell’assenza di una Valutazione di Impatto Sanitario, dell’assenza di un Registro Tumori, in generale, del non allineamento di Tirreno Power ai valori previsti dalle normative italiane e europee.
Attendiamo da più di 20 anni il depotenziamento e la completa metanizzazione di questa "centrale in città" come richiesto autorevolmente dall’Istituto Superiore di Sanità e dall’Ordine dei Medici." MoVimento Cinque Stelle - Savona

sabato 25 agosto 2012

La Germania vuole la guerra


Continua la farsa dell’euro. Il premier greco Samaras rientra dalla missione a Bruxelles con un “nulla di fatto“. In sostanza ha incassato dal francese Hollande e dalla tedesca Merkel un “arrangiatevi, nell’euro ci dovete rimanere” con un sobrio “la Grecia deve rispettare gli impegni“. Gli impegni, per il Paese ellenico, consistono nel rastrellare almeno altri 11 miliardi di euro tagliando servizi, pensioni e stipendi ad una popolazione già stremata dalla crisi e dove mendicare per strada è ormai una normalità.
I capi di governo degli Stati forti, dovremmo averlo capito, vogliono che in Grecia si arrivi alla guerra civile perché così vogliono i banchieri. Lo stesso scenario viene augurato pure per la Spagna e l’Italia. Le guerre civili sarebbero, del resto, occasioni di rilancio delle loro economie in materia di interventismo per il riordino sociale e la ricostruzione. Rimane una loro speranza, certo. Altrimenti non ci sarebbero dubbi nell’indire referendum sull’euro. Fosse stata un’opearzione a fin di bene, quella dell’euro, non sarebbe stata decisa da quattro banchieri mafiosi con la complicità dei Prodi dell’epoca che hanno fatto entrare Paesi come l’Italia senza rispettare i parametri di Maastricht.
Un’operazione trasparente e a fin di bene di portata continentale che riguarda l’economia monetaria, avrebbe portato a consultazioni popolari e con numeri reali. Ma siccome il progetto dell’euro è nato proprio per permettere alla Germania di dominare in Europa in cambio di commissariamenti e cedimenti di sovranità nazionali, ecco allora i diktat al premier ellenico, che si è visto rifiutare ogni proposta di proroga per i debiti.
Dunque, di fronte al nulla di fatto di Samaras, alla faccia dell’unione fiscale e politica dell’Europa, qui io non vedo alternative alla ribellione. I cittadini greci dovranno tentare un colpo di Stato se vorranno riappropriarsi della propria sovranità e ricominciare con la loro economia in dracme. Senza la certezza di averla vinta perché in tal caso la Germania potrebbe sentirsi legittimata ad un’invasione con la scusa degli impegni nell’euro.
In Italia c’è invece un silenzio stagnante che sembra preludere il finimondo. Occasioni di lavoro azzerate, disoccupazione alle stelle, benzina oltre i 2 euro, tasse altissime su tutto e autovelox pure sulle ciclabili. Loro, i Monti e i tecnici, tirano e ritirano la corda speranzosi che i cittadini italiani continuino a farsi spremere all’infinito. Ma lo abbiamo capito tutti che non potremo continuare così a lungo. La miccia della tenuta sociale è ormai a buon punto. La bomba è solo prossima.

venerdì 24 agosto 2012

Clima: aumentano temperatura e eventi estremi

Il Po in secca – Foto: wwww.ansa.it
La settimana più calda dell’estate italiana riporta all’attenzione la realtà dei cambiamenti climatici e in particolare l’evenienza di accadimenti estremi: onde torride che si ripetono più volte, prolungata assenza di precipitazioni, fiumi in secca, violentissimi temporali con grandine diffusa, piogge torrenziali che generano smottamenti e frane, incendi più o meno “naturali”. I giornali di tutto il mondo riempiono le cronache agostane di questi eventi. Per ora tuttavia siamo esclusivamente a una fase descrittiva: si evidenziano le ricerche scientifiche, si contano i danni, si piangono le vittime, si annunciano iniziative a livello globale e locale, ma una vera azione preventiva non viene quasi mai attuata. E così si prosegue con gli allarmi.
Avevamo parlato pochi giorni fa della siccità degli Stati Uniti e dei dati forniti dall’Agenzia nazionale americana per gli oceani e l’atmosfera (NOAA). Le notizie che hanno fatto il giro del mondo riguardavano soprattutto le cifre dell’aumento della temperatura a livello globale e soprattutto del “luglio più caldo da 150 anni” che ha messo in ginocchio la produzione di cereali degli USA, con scossoni dei prezzi di grano e mais in tutto il mondo. Ma la NOAA ha posto l’accento anche su altri dati, alla lunga molto più preoccupanti che riguardano l’aumento della temperatura degli oceani: continuano le anomalie termiche durante luglio 2012 soprattutto nella zona orientale dell’Oceano Pacifico vicino all’equatore, mentre la temperatura globale degli oceani si sta innalzando e questo mese di luglio è stato il settimo più caldo; nei primi mesi del 2012 la temperatura registrata è stata di 0,530 C superiore a quella media del Ventesimo secolo.
Gli oceani si scaldano generando una serie di conseguenze di cui non conosciamo ancora l’entità se non nelle previsioni, spesso passate sotto silenzio, degli scienziati: innalzamento del livello del mare (dovuto allo scioglimento dell’Artico); moria della fauna e della flora marine (dalle barriere coralline alla produzione ittica); possibilità di eventi meteorologici estremi come gli uragani; drastico cambiamento delle correnti come quella del Golfo con la conseguente mutazione del ciclo dei venti e delle piogge; siccità e desertificazione diffuse; aumento della percentuale dell’anidride carbonica nell’atmosfera in quanto sembra che gli oceani svolgano un ruolo di “risucchio” del gas.
Gli allarmi si inseguono e si moltiplicano. Di qualche mese fa è la ricerca guidata dall’oceanografo Dean Roemmich dello Scripps Institution of Oceanography della UC San Diego, che “indica un incremento medio di temperatura pari a 0,33 gradi Celsius (0,59 gradi Fahrenheit) nelle porzioni oceaniche ubicate a 700 metri (2.300 piedi) di profondità. Il rialzo termico è stato maggiore a livello della superficie, pari a 0,59 gradi Celsius (1,1 gradi Fahrenheit), in diminuzione a 0,12 gradi Celsius (0,22 gradi Fahrenheit) a 900 metri (2.950 piedi) di profondità.
Lo studio è il primo che ha raffrontato, a livello globale, i dati storici derivanti dal «famoso» viaggio del HMS Challenger (1872-1876) e i dati ottenuti dai moderni robot (nell’ambito del programma ARGO) che sondano le acque oceaniche segnalando continuamente le temperature a varie profondità. Altri ricercatori stabilirono in precedenza che quasi il 90 per cento del calore in eccesso prodotto dal 1960 ad oggi ed inserito nel sistema climatico della Terra, veniva immagazzinato negli oceani. La nuova ricerca, pubblicata on-line nell’edizione del 1 aprile del Nature Climate Change, ascrive la tendenza al riscaldamento degli oceani a un periodo precedente.
«L’importanza dello studio risiede nel fatto che si è scoperto che l’ampiezza della variazione di temperatura dal 1870 ad oggi è il doppio di quella osservata nel corso degli ultimi 50 anni», ha dichiarato Roemmich, co-presidente dell’International Team Steering Argo. «Ciò implica che la scala temporale per il riscaldamento degli oceani non comprende esclusivamente gli ultimi 50 anni, ma deve essere esteso almeno agli ultimi 100 anni»”.
Convergenti valutazioni anche da una ricerca, pubblicata nel maggio scorso, dal CSIRO,un ente australiano che si occupa di cambiamenti climaticiEcco un passaggio: “A causa del riscaldamento globale i nostri oceani, negli ultimi 50 anni, stanno registrando chiari mutamenti di salinità, segnalando una marcata accelerazione nel ciclo globale delle piogge e dell’evaporazione e determinando un tasso precipitativo sempre maggiore nelle aree umide, al contrario di quelle aride che divengono sempre più secche. Partendo dai mutamenti osservati nella salinità degli oceani e dalla relazione fra salinità, livello delle precipitazioni ed evaporazione, gli scienziati hanno determinato che il ciclo dell’acqua si è intensificato del 4% fra il 1950 e il 2000 – il doppio rispetto alle proiezioni degli attuali modelli del clima globale. L’intensità del ciclo stesso è cresciuta in mezzo secolo al tasso di circa l’8% per ogni grado di temperatura in più della superficie terrestre. Se avranno conferma le proiezioni correnti di un aumento di temperatura globale di 3 gradi entro la fine del secolo, l’accelerazione del ciclo dell’acqua sarà quindi del 24%”.
Queste considerazioni non riguardano fenomeni estranei a noi: il ciclo dell’acqua più veloce e intenso significa un ripetersi di eventi estremi che finiscono per alterare l’equilibrio dei suoli, della flora e della fauna e quindi della produzione agricola. Siccità e nubifragi, ecco quello che ci aspetta. In piccolo lo vediamo sotto i nostri occhi, con il Po rinsecchito e stanco; da lontano la stessa situazione vale per il Mississippi: fiumi in agonia che non lasciano sperare molto per il futuro.

giovedì 23 agosto 2012

0% di disoccupati e 15 euro di affitto per tutti: il miracolo di Marinaleda

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Una insolita isola socialista che resiste alla crisi in Spagna. Come si vive a Marinaleda (Andalusia) dove i lavoratori governano una città e quando serve occupano le terre e fanno la spesa proletaria nei supermercati.
Juan Manuel Sánchez Gordillo, che ha dominato le prime pagine nei giorni scorsi dopo aver condotto un “spesa proletaria” di cibo nei supermercati per consegnarlo ai bisognosi insieme al Sindacato Andaluso dei Lavoratori (SAT), è certamente un leader singolare all’interno della classe politica spagnola.
Eterodosso tra gli eterodossi, le sue azioni passate hanno attirato critiche anche nei ranghi di Izquirda Unida di cui fa parte dal 1986 la sua organizzazionenel quadro del Blocco Andaluso-IU.
Insieme a, Diego Cañamero, Sánchez Gordillo è stato un leader storico del Sindacato dei Lavoratori del Campo (SOC), la spina dorsale della corrente SAT. Inoltre, dal 1979 è il sindaco di Marinaleda, una piccola città di circa 2.600 abitanti tra Cordova e Siviglia (chiamata la “padella dell’Andalusia” per il caldo, NdT) dove negli ultimi 40 anni ha esercitato una egemonia autorevole ed assoluta. Il sostegno e l’impegno degli abitanti del paese ha contribuito a lanciare un vero e proprio esperimento politico ed economico, una specie di isola socialista nel mezzo della campagna andalusa.
La rossa Marinaleda ha camminato attraverso la storia della Spagna, con la transizione, con l’entrata in Europa e la caduta dell’Unione Sovietica, fino al ventunesimo secolo. Infine, è arrivata la crisi economica e questa città andalusa ha avuto la possibilità di verificare se la sua utopia particolare, atuata in 25 chilometri quadrati, sia davvero un’alternativa ai mercati.
L’attuale tasso di disoccupazione a Marinaleda è pari a 0%. Gran parte degli abitanti sono impiegati nella Cooperativa Humar – Marinaleda SCA, creata dagli stessi lavoratori, dopo anni di lotta. Per molti anni, i contadini hano occupavato le terre di Smoky, dove oggi sono organizzati in cooperativa, e spesso sono stati sfrattati dalla Guardia Civil. Infine, nel 1992 raggiunto il loro obiettivo: “la terra a chi la lavora” e la proprietà divenne della cooperativa. Sul loro sito web è scritto in chiaro che il suo “obiettivo non è il profitto privato, ma la creazione di posti di lavoro con la vendita di prodotti agricoli sani e di qualità”.
Tutti gli stipendi della cooperativa sono uguali: circa 1.200 euro al mese. Nei loro campi si coltivano fagioli, carciofi, peperoni rossi (pipas) e olio extravergine di oliva, controllati dai lavoratori in tutte le fasi della produzione. Il terreno, che si trova nella Vega Genil, di proprietà della “comunità”, e hanno anche una fabbrica di conserve, un mulino, serre, strutture di allevamento e un negozio. I salari di tutti i lavoratori, non importa quale sia la loro posizione, è di 47 euro al giorno, sei giorni alla settimana, al ritmo di 1.128 euro al mese per 35 ore settimanali.
In alta stagione, il lavoro cooperativo impegna almeno 400 persone seguendo il motto di “lavorare meno per lavorare tutti”. In aggiunta, ci sono anche persone che lavorano su piccoli appezzamenti di proprietà. Il resto dei settori chiave dell’economia sono legati ad attività rurali, negozi, sport e pubblica utilità. Praticamente tutti in città guadagnano lo stesso di un lavoratore a giornata, circa 1.200 euro al mese.
In un’intervista pubblicata il mese scorso, Gordillo stesso ha spiegato come la crisi stia colpendo Marinaleda. “Essa colpisce un po’ i prezzi dei prodotti agricoli e dei finanziamenti. Abbiamo problemi di liquidità, ma stiamo vendendo buoni prodotti. “
Così, “in termini generali, in agricoltura e nella produzione alimentare la crisi si è sentita meno. Resta il problema delle persone che avevano lasciato la campagna per andare lavorare nel settore delle costruzioni . Quindi occorre mantenere l’occupazione lì, ma bisogna aumentarla. L’agricoltura biologica offre più posti di lavoro rispetto ai tradizionali, questo è vero. Certo per salvarla dalla situazione di crisi e l’aumento dei prodotti agricoli, si è cercato uno scambio orizzontale, con un dialogo di cooperazione e relazioni di cooperazione con gli altri paesi hanno esperienze di questo tipo”.
La questione delle abitazioni
Di fronte al ‘boom immobiliare’ e la speculazione che ha colpito il mattone in Spagna negli ultimi decenni, Gordillo ha deciso di mandare Marinaleda esattamente nella direzione opposta. Si può avere una casa in buone condizioni, di 90 mq e con terrazza, per 15 euro al mese. L’unica condizione è che, secondo la filosofia assemblearia e orizzontale che guida tutte le sue attività, ogni persona dovrebbe aiutare la costruzione della vostra casa.
L’amministrazione offre terra e fornisce materiali per la costruzione di alloggi, da parte degli inquilini stessi che pagano qualcuno per sostituirli. Così, come ci sono professionisti pagati per consigliare i residenti e svolgere i compiti più complicati. Inoltre, come misura per incoraggiare la collaborazione, i futuri inquilini non saranno quale delle case che si costruiscono sarà in futuro la sua.
“Quando si lavora, per la costruzione della casa si pagano 800 euro al mese e si riserva la metà per pagare la casa,” dice Juan José Sancho, un abitante di Marinaleda che, nonostante i suoi 21 anni, fa parte del ‘gruppo di azione” ed è responsabile, attraverso il gruppo, di gestire gli affari pubblici della città. Secondo lui, “questa misura è stata presa per non speculare sulle case vuote.”
La scuola e l’educazione
” Dove prima gran parte dei lavoratori a giornata riusciva a malapena a scrivere, oggi c’è una scuola materna, una scuola e un istituto. Sia la scuola materna che la scuola dispone di un servizio mensa che costa solo 15 euro al mese. Tuttavia, come ha raccontato Sancho, “tasso di disaffezione alla scuola è un po ‘alto, perché la gente vede che la casa e il lavoro sono assicurati, molti non vedono la necessità di adoperarsi negli studi. Uno dei punti su cui abbiamo bisogno per migliorare. “
L’impegno e la consapevolezza politica tra gli abitanti di Marinaleda è superiore a qualsiasi altra città della zona, ed “è anche qualcosa che è molto presente tra i giovani”, secondo Sancho. “Qui tutti i giovani hanno idee politiche. Tuttavia, il nostro impegno è di gran lunga inferiore a quello dei nostri genitori che hanno dato tutto per avere questo. ” Oggi “abbiamo tutti i bisogni soddisfatti e la gente si adagia un po”.
La partecipazione politica
I pilastri su cui poggia il modello economico Marinaleda sono l’uguaglianza e la partecipazione del popolo. E questi principi sono estesi a tutti i settori della vita, anche politica. Non esiste la polizia e le decisioni politiche vengono prese in una riunione in cui tutti i residenti sono tenuti a partecipare.
D’altra parte, “c’è una ‘task force’, che affronta le questioni più pressanti della giornata. C’è un gruppo di eletti, sono persone che vogliono aderire volontariamente per condividere le attività necessarie alla popolazione”, dice Sancho. “Si tratta di un gruppo eterogeneo, siamo più o meno lo stesso numero di uomini e donne. ” Tuttavia, una cosa che hanno in comune tutte le persone coinvolte in esso e che appartengono al “movimento” e, come segnala il sito di Marinaleda, “il partito (UI), l’unione (SAT) e la città fanno parte di un tutto. L’assemblea ha deciso e il partito e il sindacato, si associano per applicare tale decisione nella città “.
Per quanto riguarda le tasse, “sono molto basse, le più basse in tutta la regione”, speiga Sancho. I bilanci sono discussi in pubblico e la gente in assemblea approva. Poi, la discussione si sposta quartiere per quartiere, nelle assemblee dei “vecinos” (inquilini,residenti, NdT), ed è questo che decide ciò che viene investito ogni euro.
Ambiente. In linea con le indicazioni di “Via Campesina”
Seguendo la indicazioni del coordinamento internazionale Via Campesina, alla quale il SAT aderisce, è lavorare la terra in modo “ecologico, al 100% una agricoltura pratica”, come la cooperativa annuncia sul suo sito web. “Nella cooperativa si è sempre cercato di promuovere l’agricoltura manuale, per creare più posti di lavoro e di essere più ecocompatibili”, dice Sancho. Inoltre, “sono stati rimossi i rifiuti e tutte le discariche di rifiuti adottano impianti di riciclaggio”. Gli obiettivi dell’Ayuntamiento (Municipio) è ora quello installare un proprio punto verde nella cittadina.

mercoledì 22 agosto 2012

Passera, l'ovetto kinder senza sorprese


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Il banchiere Passera, l'ovetto kinder della terza repubblica, si sta candidando alla successione di Rigor Montis. È l'uomo adatto! Do you remember la privatizzazione di Alitalia con Berlusconi (tessera 1816 della P2) e la fine della Olivetti, dove era il braccio destro di De Benedetti (lo svizzero tessera numero uno del Pdmenoelle)? Beppe Grillo
Lettera della dott.ssa Maria Rita D'Orsogna, dalla California
"Caro signor Passera,
stavo per andare a dormire quando ho letto dei suoi folli deliri per l'Italia petrolizzata. Ci sarebbe veramente da ridere al suo modo malato di pensare, ai suoi progetti stile anni '60 per aggiustare l'Italia, alla sua visione piccola piccola per il futuro. Invece qui sono pianti amari, perché non si tratta di un gioco o di un esperimento o di una scommessa. Qui si tratta della vita delle persone, e del futuro di una nazione, o dovrei dire del suo regresso.
Lei non è stato eletto da nessuno e non può pensare di "risanare" l'Italia trivellando il Bel Paese in lungo ed in largo. Lei parla di questo paese come se qui non ci vivesse nessuno:
metanodotti dall'Algeria, corridoio Sud dell'Adriatico, 4 rigassificatori, raddoppio delle estrazioni di idrocarburi.
E la gente dove deve andare a vivere di grazia? Ci dica. Dove e cosa vuole bucare? Ci dica.
I campi di riso di Carpignano Sesia? I sassi di Matera? I vigneti del Montepulciano d'Abruzzo? Le riserve marine di Pantelleria? I frutteti di Arborea? La laguna di Venezia? Il parco del delta del Po? Gli ospedali? I parchi? La Majella? Le zone terremotate dell'Emilia?
Il lago di Bomba? La riviera del Salento? Otranto? Le Tremiti? Ci dica.
Oppure dobbiamo aspettare un terremoto come in Emilia, o l'esplosione di tumori come all'Ilva per non farle fare certe cose, tentando la sorte e dopo che decine e decine di persone sono morte?
Vorrei tanto sapere dove vive lei. Vorrei tanto che fosse lei ad avere mercurio in corpo, vorrei tanto che fosse lei a respirare idrogeno solforato dalla mattina alla sera, vorrei tanto che fosse lei ad avere perso la casa nel terremoto, vorrei tanto che fosse lei a dover emigrare perché la sua regione - quella che ci darà questo 20% della produzione nazionale - è la più povera d'Italia.
Ma io lo so che dove vive lei tutto questo non c'è. Dove vive lei ci sono giardini fioriti, piscine, ville eleganti soldi e chissà, amici banchieri, petrolieri e lobbisti di ogni genere.
Lo so che è facile far cassa sull'ambiente. I delfini e i fenicotteri non votano. Il cancro verrà domani, non oggi. I petrolieri sbavano per bucare, hanno soldi e l'Italia è corrotta.
È facile, lo so.
Ma qui non parliamo di soldi, tasse e dei tartassamenti iniqui di questo governo, parliamo della vita della gente. Non è etico, non è morale pensare di sistemare le cose avvelenando acqua, aria e pace mentale della gente, dopo averli lasciati in mutande perché non si aveva il coraggio di attaccare il vero marciume dell'Italia.
E no, non è possibile trivellare in rispetto dell'ambiente. Non è successo mai. Da nessuna parte del mondo. Mai.
Ma non vede cosa succede a Taranto? Che dopo 50 anni di industrializzazione selvaggia - all'italiana, senza protezione ambientale, senza controlli, senza multe, senza amore, senza l'idea di lasciare qualcosa di buono alla comunità - la gente muore, i tumori sono alle stelle, la gente tira fuori piombo nelle urine? E adesso noialtri dobbiamo pure pagare il ripristino ambientale? E lei pensa che questo è il futuro?
Dalla mia adorata California vorrei ridere, invece mi si aggrovigliano le budella.
Qui il limite trivelle è di 160 km da riva, come ripetuto ad infinitum caro "giornalista" Luca Iezzi. Ed è dal 1969 che non ce le mettiamo più le trivelle in mare perché non è questo il futuro. Qui il futuro si chiama high tech, biotech, nanotech, si chiamano Google, Facebook, Intel, Tesla, e una miriade di startup che tappezzano tutta la California.
Il futuro si chiama uno stato di 37 milioni di persone che produce il 20% della sua energia da fonti rinnovabili adesso, ogni giorno, e che gli incentivi non li taglia a beneficio delle lobby dei petrolieri.
Il futuro si chiama programmi universitari per formare chi lavorerà nell'industria verde, si chiama 220,000 posti di lavoro verde, si chiama programmi per rendere facile l'uso degli incentivi.
Ma non hanno figli questi? E Clini, che razza di ministro dell'ambiente è?
E gli italiani cosa faranno? Non lo so.
So solo che occorre protestare, senza fine, ed esigere, esigere, ma esigere veramente e non su facebook che chiunque seguirà questo scandaloso personaggio e tutta la cricca che pensa che l'Italia sia una landa desolata si renda conto che queste sono le nostre vite e che le nostre vite sono sacre." Maria Rita D'Orsogna
Chiudono le due grandi industrie del fotovoltaico europeo, la Cina non lascia scampo

La guerra è cominciata in primavera, gli Usa hanno messo in campo i dazi doganali per evitare il dumping cinese che, con i suoi prezzi sottocosto, faceva concorrenza sleale alle industrie del fotovoltaico americano.
In Europa non siamo riusciti a difenderci, la Cina aveva minacciato pesanti ripercussioni se l'Ue avesse messo dei dazi come l'amministrazione Obama. La tedesca Sovello e la danese Vestas stanno per chiudere i battenti. La prima, una delle aziende leader con sede nella Sassonia-Anhalt nell'est della Germania, deve ora mandare altre 500 lettere di licenziamento dopo le prime 500 di inizio agosto, nell'attuale situazione di insolvenza si e' riusciti solo a reperire i fondi per pagare i salari di questo mese.
"Al di la' di questo mese non ci sono più soldi", ha precisato Floether, il curatore fallimentare, il quale ha aggiunto che la ricerca di un investitore disposto a rilevare l'azienda continua, anche se in mezzo alle difficoltà perché il fatturato nelle ultime settimane è fortemente regredito. Il presidente regionale del sindacato per la chimica e l'energia (IG Bce), Erhard Kopitz, ha chiesto al governo tedesco di intervenire con i fondi pubblici per salvare l'azienda:"chiudere gli occhi adesso senza fare nulla significa perdere tutto".
La danese Vestas ha in programma il taglio di 3700 posti. "L'ulteriore riduzione della forza lavoro fa parte del programma di riduzione costi a cui Vestas sta lavorando dal novembre 2011", ha commentato l'ad del gruppo Ditlev Engel aggiungendo che gli oltre 250 milioni di euro di risparmi serviranno a tornare all'utile l'anno prossimo.

Tratto da http://www.beppegrillo.it

lunedì 20 agosto 2012

I veri evasori


"Evasione fiscale IN CIFRE (e non in percentuali fuorvianti) in Italia:
1) L'economia criminale (mafia e malavita): 78,2 miliardi di euro l'anno.
2) Big company (le grandi aziende): 38 miliardi di euro l'anno.
3) L'economia sommersa (extracomunitari e doppio lavoro): 34,3 miliardi di euro l'anno.
4) Le società di capitali (spa e srl): 22,4 miliardi di euro l'anno.
5) Autonomi e piccole imprese (idraulico e parrucchiera): 8,2 miliardi di euro l'anno.
Se si riuscisse a far pagare le tasse a tutti ma proprio TUTTI i "piccoli", si recupererebbe neanche il 5% del totale nazionale! E con appena un paio di big company "acciuffate" faremmo pari con tutti gli sfigatissimi artigiani d'Italia, tanto odiati e insultati da tutti. (dati confermati da contribuenti.it e 3 agenzie: una italiana e due straniere)" Paolo Cicerone

domenica 19 agosto 2012

Illeggittima Violenza Mondiale Todo Cambia?

http://www.repubblica.it/images/2012/08/17/220123918-31c99766-5de5-44dd-bd26-1949f7ed3084.jpg
Il giorno dopo ferragosto  non ho visto nessun telegiornale e  neanche ho aperto il pc ma oggi non mi è sfuggita questa notizia  del 16 agosto:  ” Sudafrica, strage di minatori“. Io posso solo portare alla vostra attenzione, sembra che nulla cambia, Todo Cambia come cantava Mercedes Sosa, non cambia il caldo,  il lavoro che manca e la morte che arriva per disgrazia per ordini impartiti da affari decisi dal potere. Immagino le mosche il sangue la rabbia e il  dolore senza fine di chi rimane su questa povera Terra Madre.
A Marikana in   Sudafrica, una cinquantina di donne hanno manifestato, gridando la loro rabbia contro la polizia. Sono le madri e le figlie dei minatori uccisi durante una protesta per l’aumento del salario. La polizia ha detto di aver aperto il fuoco per legittima difesa, contro un gruppo che si stava avvicinando minacciosamente con machete e bastoni. “Siamo qua per chiedere al governo perché, invece di dare alle nostre famiglie ciò che chiedevano, li ha uccisi”, dice una vedova.  Era dal 1994, data della fine dell’apartheid, che il Sudafrica non assisteva a massacri ad opera della polizia. Questa la risposta del presidente Jacob Zuma ad un Paese ancora sconvolto: la creazione di una commissione d’inchiesta per fare luce sulla verità. Secondo la polizia i minatori colpiti a morte sono stati 34, 78 quelli feriti. La compagnia mineraria Lonmin, che aveva sollecitato l’intervento della polizia per lo sciopero, si è offerta di organizzare i funerali delle vittime e pagare le tasse scolastiche ai figli dei lavoratori uccisi.”
“I sudafricani pensavano che i massacri di polizia facessero ormai parte dei libri di storia e dei musei, ma a Soweto il massacro dei 34 minatori di Marikana ha risvegliato brutti ricordi, alimentando nuovi timori. Nella rivolta del 1976 a Soweto, alle porte di Johannesburg, i poliziotti bianchi del regime segregazionista aprirono il fuoco contro gli studenti neri che chiedevano un’istruzione migliore, uccidendo 23 persone. Giovedì scorso, alla miniera di platino Lonmin di Marikana, 34 minatori (36 n.d.r.) che chiedevano un aumento salariale sono caduti sotto i colpi degli agenti.«Credevo sinceramente che queste cose facessero parte del nostro passato. Credevamo che fosse cambiato l’atteggiamento delle forze di sicurezza», ha detto alla France presse Thozamile Ngesi, un visitatore del monumento che ricorda i fatti del 1976. «Non ho dubbi sul fatto che la polizia non avrebbe osato aprire il fuoco su un gruppo di lavoratori bianchi ricchi», ha aggiunto il 27enne disoccupato.In Sudafrica, i minatori sono i più poveri tra le classi meno abbienti, sottopagati e costretti a vivere in condizioni di estrema miseria nei pressi delle miniere. La sparatoria di giovedì scorso è scoppiata dopo una settimana di sciopero indetto per chiedere una paga migliore. I lavoratori, perlopiù arrivati dai villaggi agricoli di tutto il Sudafrica e dai Paesi vicini, chiedevano di triplicare il loro stipendio, oggi pari a 4.000 rand al mese (400 euro). A fronte del rifiuto opposto dall’azienda, i minatori avevano quindi deciso di non tornare al lavoro, come chiesto dai leader sindacali, e di proseguire nella protesta. A due giorni dal massacro dei minatori di Marikana, in Sudafrica, i familiari stanno ancora cercando i loro cari, per sapere se sono stati uccisi, feriti o solo arrestati. Il bilancio dell’operazione condotta dalla polizia contro i lavoratori in sciopero nella miniera Lonmin è di 34 morti, 78 feriti e 259 arresti.I familiari ancora senza notizie si recano alla roulotte piazzata davanti all’ospedale dei minatori, dove c’è l’elenco di morti e feriti. L’azienda mineraria Lonmin ha garantito la sua assistenza per l’identificazione e la sepoltura delle vittime, promettendo anche aiuti finanziari per la scuola dei figli.”
“Quella che ha travolto il Sudafrica è una sorta di guerra urbana. Il 16 agosto la polizia, dopo aver cercato di disperderli con gli idranti, i lacrimogeni e le granate non offensive, ha aperto il fuoco aMarikana (Nord-ovest) su migliaia di minatori in sciopero armati di machete uccidendo almeno 34 persone secondo quanto riferito dal ministero della polizia, mentre la Reuters ha parlato di 12 vittime e i servizi di emergenza regionale parlavano di 25 morti
http://www.ilmattino.it/MsgrNews/HIGH/20120817_sudafrica.jpg
Le vittime sarebbero addirittura 36 secondo il sindacato dei minatori della National Union of Mineworkers. Nelle immagini diffuse dagli operatori presenti sul posto, si possono notare i corpi a terra dopo il cessate il fuoco e lo sguardo atterrito degli altri minatori, incapaci di fuggire per lo choc subito.«Numerose persone sono rimaste ferite e il numero (dei morti) continua ad aumentare», ha detto il ministro della Polizia Nathi Mthethwa in un’intervista alla radio locale.Il ministro ha condannato le violenze, sottolineando che la polizia aveva negoziato per tre giorni con gli scioperanti. «Questo non doveva accadere. Abbiamo sempre insistito sul fatto che abbiamo delle leggi in questo Paese che permettono alle persone di scioperare, di riunirsi per manifestare, e crediamo che le persone non dovrebbero ignorare questi pilastri del nostro sistema (…) è una situazione terribile per tutti». Già nei giorni precedenti nove persone, tra cui due poliziotti, erano morte in scontri tra sindacati e forze dell’ordine. Domenica 12, due vigilantes della miniera sono stati uccisi dai manifestanti, e due minatori sono morti poi in una serie di pesanti scontri, lunedì. Già nella giornata di mercoledì 15 agosto la polizia era intervenuta in massa, con l’invio di elicotteri e di circa 3 mila agenti in assetto da guerra. Non c’erano però stati scontri e la situazione era rimasta sotto controllo. Non così il 16. Un cameraman ha detto di aver visto almeno sette cadaveri dopo la sparatoria, che è stata innescata dall’assalto dei minatori, scesi da una formazione rocciosa accanto alla miniera di Marikana, contro i poliziotti, che stavano ergendo delle barriere con il filo spinato. La polizia era già intervenuta con proiettili di gomma e lacrimogeni contro le migliaia di minatori in protesta, molti dei quali armati di bastoni e machete.La miniera Marikana della Lonmin, terzo produttore mondiale di platino, ha minacciato il licenziamento di 3 mila lavoratori se non dovesse essere interrotto uno sciopero selvaggio a oltranza per un aumento salariale, che il sindacato radicale Amcu chiede sia triplo rispetto al salario attuale, che pari a circa 400 euro al mese.Una mobilitazione che, oltre a paralizzare la produzione, sta creando violenza e tensione fra gli stessi lavoratori, con almeno 10 morti in violenze avvenute in quasi una settimana di mobilitazione. Agenti di polizia hanno detto che dopo la rottura delle trattative con l’Amcu non resta altra opzione che l’uso della forza. Un leader del’Amcu al megafono ha urlato: «Non ci muoviamo. Se necessario, siamo pronti a morire!». I produttori di platino lamentano che il calo del prezzo del prezioso metallo – di cui il Sudafrica ospita l’80% delle riserve mondiali – e la crescita del costo del lavoro li stanno stanno portando loro l’acqua alla gola. Le violenze odierne hanno anche avuto conseguenze in Borsa: i titoli della Lomlin ad un certo punto hanno perso oltre il 13%, mentre i prezzi del platino sono saliti.”
Ma non cambia il mio amore
per quanto lontano mi trovi,
né il ricordo né il dolore
della mia terra e della mia gente.
E ciò che è cambiato ieri
di nuovo cambierà domani
così come cambio io
in questa terra lontana.
Cambia, tutto cambia…

La logica di Mr. Spock - Stiglitz e Gallegati

"C'è sempre un'alternativa", come disse Spock. Il trucco che stanno usando è farci credere che non esistano alternative all'euro e alla crescita del PIL. Beppe Grillo
Intervento di Joe Stiglitz e Mauro Gallegati

"Cosa accadrà in caso di default ed abbandono dell’euro? Come uscire dalla crisi sfruttando l’opportunità del cambiamento? Non proponiamo nuove strategie di crescita, ma un diverso modo di vivere e produrre. A tal fine, individuiamo una strategia dal basso (da noi tutti abitanti questo Pianeta) ed una dall’alto.
La diminuzione del tasso di profitto del settore reale nei Paesi avanzati ha generato un'espansione del settore finanziario che ha garantito la tenuta del sistema fino allo scoppio della bolla immobiliare nel 2007. La crescita del profitto ha portato alla necessità di reinvestire i risparmi accumulati. Il rallentamento dell’economia reale nei Paesi avanzati ha implicato una fuoriuscita di risorse da questo settore non più remunerativo, incentivando la delocalizzazione produttiva e l’investimento finanziario in attività sempre più rischiose e complesse. L’iniezione di liquidità effettuata a più riprese dalle banche centrali americana ed europea non ha sortito rilevanti effetti positivi sull’economia reale dei Paesi occidentali, mentre le banche hanno ripreso a specularegrazie alla maggiore liquidità a disposizione, accrescendo i propri profitti. Il salvataggio delle banche, con la conseguente socializzazione di perdite private, è importante per la salvaguardia del risparmio del ceto medio. Però non è da escludere un’azione di indirizzo pubblico da parte dello Stato che ha investito risorse per salvare il sistema. Inoltre, il salvataggio bancario non è in grado di risolvere da solo l’attuale crisi. Infatti, non influisce sul problema di fondo, cioè una divergenza tra una produttività crescente e una capacità di acquisto stagnante o calante. In aggiunta, il salvataggio delle banche da parte degli Stati ha fatto lievitare il debito pubblico, già elevato in alcuni Paesi come l’Italia. Quindi un problema è diventato ridurre il peso del debito pubblico rispetto al prodotto interno.
La strada che i governanti europei stanno seguendo è quella dell’austerità, alcuni hanno proposto il ripudio del debito e l’uscita dall’Euro. Il ritorno alle monete nazionali renderebbe nuovamente disponibile ai singoli Paesi lo strumento della politica monetaria per garantire il debito pubblico mediante l’intervento della propria banca centrale. Questa strategia può presentare una serie di criticità. La principale è checolpirebbe pesantemente il ceto medio, lo stesso che ora sta pagando i sacrifici richiesti dalla strategia di austerità.Questo gruppo di persone verrebbe colpito sia direttamente che indirettamente. Direttamente, dato che i titoli di Stato sono la forma di risparmio principale dei piccoli risparmiatori (l’incidenza dei titoli di Stato italiani nel portafoglio di un grande imprenditore che può permettersi di investire all’estero o portare le proprie attività in Lussemburgo o alle Isole Cayman è minima rispetto all’incidenza sul portafoglio di un piccolo risparmiatore). Il default dovrebbe quindi essere “selettivo”, per colpire solo i titoli posseduti da alcuni soggetti (ad esempio, le istituzioni finanziarie estere) e ripagarli invece se posseduti da altri (ad esempio, lavoratori e pensionati). Al danno diretto si aggiungerebbero una serie di danni indiretti. L’uscita dall’Euro propedeutica ad una svalutazione della moneta (una nuova lira o un euro dei PIGS?), che faccia recuperare competitività al Paese, porterebbe nell’immediato ad una probabileimpennata dell’inflazione (le materie prime quali petrolio e gas, sarebbero molto più care) e ad un peggioramento del potere d’acquisto e degli standard di vita. Inoltre, anche l’effetto benefico sulle esportazioni nel medio periodo potrebbe non avere la stessa ampiezza ottenuta dalla svalutazione del 1992, quando la competizione di prezzo dei Paesi emergenti non aveva raggiunto i livelli degli anni 2000, dopo l’ingresso della Cina nel WTO. Un default implicherebbe una perdita di credibilità sui mercati internazionali che, per un certo periodo, eviterebbero di finanziarci (se non a tassi elevatissimi). La mancanza di credito e di investimenti potrebbe acuire la recessione. Infine, l’uscita dall’Euro dell’Italia sarebbe probabilmente causa dell’archiviazione dell’esperienza della moneta unica, il che potrebbe implicare la fine del processo di integrazione europea, poggiato principalmente su basi economiche.
L’attuale modello di sviluppo, basato sull'utopica credenza di una crescita senza fine, che non distingue beni da merci, genera insostenibili disuguaglianze e provoca sempre più forti criticità ambientali. Bisognerebbe puntare all’innovazione, alla cultura ed ai servizi, beni prevalentemente immateriali, ma che spesso hanno un forte legame con i territori. Ciò che proponiamo come un abbozzo per un nuovo modo di vivere si può riassumere nella frase: "Lavorino le macchine, noi godiamoci la vita". A tal fine occorre ripensare e ridisegnare in modo integrale la vita umana dominata dall’imperativo dell’accumulo di denaro, della produzione e dell’acquisto di merci. Ma in tutti i continenti, in tutte le nazioni, oltre al malessere dovuto ad un tale modello di vita, stanno emergendo fermenti creativi che spingono in altre direzioni: i movimenti delle popolazioni di Centro e Sud America contro lo sfruttamento dei suoli e delle acque, il microcredito nato in Asia e affermatosi anche nel mondo occidentale, i Gruppi di Acquisto Solidale che mettono al centro i principi di eticità e sostenibilità, ricostruendo la relazione tra il consumatore, spesso urbanizzato, e i produttori, i Movimenti per la decrescita che propongono cambiamenti dal basso, azioni pratiche per stili di vita sobri e sostenibili, a chi sperimenta una vita senza petrolio nelle "transition town".
Ci sono comportamenti di cittadini/consumatori/produttori, che potrebbero innescare soprattutto in questa situazione di crisi il virus del cambiamento, ma anche nuovi punti di vista di governi che stanno ricercando indicatori più adatti del PIL per misurare il benessere di una nazione. Nel Bhutan il "Gross National Happiness", L’Ecuador e la Bolivia che mettono il "buen vivir" nelle loro Costituzioni, l’Australia con "Measures of Australia’s progress", il "Canadian Index of Wellbeing". Misure che dovrebbero esser differenti da Paese a Paese. Ricordava Fuà [1]: "Un singolo modello di sviluppo e di vita (oggi quello concentrato sulla crescita delle merci) viene proposto ed accettato come l’unico valido; bisognerebbe invece apprezzare che ogni popolazione cerchi la via corrispondente alla sua storia ai suoi caratteri, alle sue circostanze e non si senta inferiore ad un’altra per il solo fatto che quella produce più merci." Poiché viviamo unmomento di transizione tra un’economia delle merci ed un’economia dei servizi occorrerà inventare nuovi lavori, magari a ritmi più umani, dematerializzando le nostre produzioni. Per il nostro Paese, un’indicazione ci può venire dal recentissimo Rapporto 2012 sull’Industria culturale in Italia: "L’Italia che verrà", di Unioncamere, Fondazione Symbola e Regione Marche. I settori coinvolti da questa indagine, sono quelli classici deiBeni culturali: architettura, design, industrie creative e culturali che, in contro tendenza, mostrano il livello dell’occupazione (il 5,6% del totale degli occupati) salito dello 0,8%, a fronte di un arretramento medio dello 0,4% (periodo 2008-2011). Allargando il campo ad altri settori dell’unicità italiana, produzioni agricole tipiche, il turismo legato alla capacità attrattiva della cultura, le attività legate al recupero del patrimonio storico, attività di formazione collegate, gli occupati salgono al 18,1% degli occupati a livello nazionale. Ritornando alla frase di Fuà, non sarebbe il caso di individuare nel valore aggiunto del settore cultura, alla sua unicità, in quello del suo indotto e dei comparti meno formali che ad esso possono essere legati, la nostra vera fonte di ricchezza? I tempi del cambiamento sono lunghi. Un'accelerazione può venire solo dall’alto. In questa prospettiva, ci si dovrà attrezzare per utilizzare gli incrementi di produttività per lavorare di meno, redistribuire il reddito via fiscalità (vedi J.E.Stiglitz, The price of inequality Norton, 2012), promuovere la progressiva introduzione del reddito di cittadinanza e della partecipazione agli utili di impresa. Solo se riusciremo a cambiare il modo di vivere di oggi avremo un domani. Ma per far ciò abbiamo tutti bisogno di un movimento che aiuti a renderci consapevoli e che cambi il modo di far politica. Come provano a fare gli Indignados, gli Occupy Wall Street e il M5S ". Joe Stiglitz e Mauro Gallegati
[1] Crescita economica. Le insidie delle cifre, Giorgio Fuà, Il Mulino, 1993.