lunedì 29 ottobre 2012

LA LETTERA ! Il COMU: il mercatino dell’usato?



Il COMU: il mercatino dell’usato?

In questo caso ad essere usato non sono persone ma un’idea. La cosa in sé può non sembrare grave (un’idea che ha significato molto in un certo momento storico può anche muovere sentimenti nostalgici e, perchè no, tentativi giusti per cercare una sua riproposizione nel presente. L’opposto di questo è rappresentato dalla tendenza che attraversa la società rispetto al sistemati co rifiuto delle ideologie, che ha visto recentemente anche il Partito della Rifondazione Comunista abiurare gli schemi classici dell’ideologia comunista così come aveva già fatto prima il P.C.I., questo nel nome di una società che cambia: ma chi la cambia, in che modo e perché? E non per un’evoluzione di conoscenza e di pensiero), lo diventa se si entra nel merito.
Un conto è rilanciare i temi classici del comunismo tutt’ora attuali considerando che poco o niente è cambiato in una società profondamente ingiusta in cui persistono sotto forme diverse le stesse condizioni di sfruttamento di sempre, un conto è invece cercare di rilanciare un’idea già deviante nella sua origine storica: il macchinista quale soggetto sindacale privilegiato. Se l’intelligenza di gestione del capitalismo, attraverso una serie di iniziative mirate, ha premeditatamente stravolto tutta la geografia del mondo della produzione per rendere più difficile una sintesi del conflitto, che prima invece girava attorno alla figura dell’operaio massa, com’è possibile pensare e a ragione sperare che, nello specifico delle ferrovie, sia credibile e possibile rilanciare il macchinista quale figura conflittuale centrale e trainante di tutto il mondo delle ferrovie? Le ferrovie così come le conoscevamo nn esistono più; l’avvenuta divisionalizzazione, alla quale, se ricordo bene, nessun soggetto sindacale e politico si è veramente opposto con convinzione, ha spezzato l’unità del ferroviere (anche quella di una categoria compatta come lo era prima quella del macchinista). Non era forse questo l’obiettivo principale dell’Azienda, della classe dirigente politica e sindacale? Ma non solo la ferrovia non è più quella a cui si pensava fino a dieci anni fa, è tutto il mondo del lavoro che hanno cambiato, è l’individuo che si è trovato cambiato senza accorgersene, disorientato com’è in un ambiente in cui si insinuavano input nascosti che si sarebbero dati a conoscere compiutamente solo quando sarebbe stato troppo tardi. Sinceramente, allo stato attuale delle cose, non saprei cosa proporre, ma è indubbio che va


ricercata e ricostruita un’unità politica dal basso, che ha a che fare più con la qualità della vita che con la cultura del lavoro salariato- con tutto ciò che questo comporta.
Vincenzo De Santo

Risponde il responsabile di Redazione.

In questa lettera inviata al nostro giornale, Vincenzo ci contesta il ruolo storico di avanguardia di lotta che il macchinista ha rappresentato nella storia delle ferrovie e del sindacato italiano. Per rispondere dovrei partire dal macchinista anarchico Castrucci (1872-1952), fondatore del giornale “In Marcia”, perseguitato dal regime fascista che lo licenziò e gli bruciò la casa. Ma per ragioni di brevità, partirò dalla nascita del COMU. Quel sindacato, che aveva assegnato una funzione di guida ad un giornale (“Ancora in Marcia”), che per definizione è il luogo delle idee e del dibattito, invece che ad un esecutivo, già la dice lunga sulla nostra storia, ma l’anomalia e la stranezza del COMU stava nel proprio STATUTO nel quale si vietava il distacco sindacale e tutti, proprio tutti, dal cordinatore nazionale all’ultimo delegato dovevano passare sempre e frequentemente al vaglio dei lavoratori attraverso le elezioni della STRUTTURA DI BASE (un’altra bizzarria). In pratica non era possibile per un segretario nazionale o regionale occupare quel posto senza essersi presentato mai alle elezioni della base. Caro Vincenzo, come potrai ben capire, queta organizzazione faceva paura perché, come ben rappresenta il logo della nostra modesta testata, si muoveva fuori dai binari prestabiliti dal POTERE. Da qui nasceva il livore del ceto politico e sindacale nei nostri confronti. Siccome il discorso è lungo, per ulteriori approfondimenti, ti rimando all’archivio dell’Università Federico II di Napoli dove potrai trovare decine di tesi di laurea su questo argomento, oppure alla lettura di diversi libri di storia sindacale italiana tra cui: A. Accornero, La parabola del sindacato. Ed. Il Mulino, E.Lombardi, COBAS: una spina nel fianco. Ed.Sovera Multimedia, R.Armeni, Gli extraconfederali. Ed.Lavoro. Ma se ti sembra troppo gravoso questo compito che ti ho assegnato, te ne dò uno meno faticoso e addirittura piacevole: ascolta la canzone di Francesco Guccini, La locomotiva. Un abbraccio fraterno.
Rosario Piccioli

sabato 13 ottobre 2012

Intervista a Beppe Grillo

Intervista a Beppe Grillo

Luca Ricolfi su La Stampa: “Se il fisco è più iniquo di prima”

Mario Monti (LaPresse)
ROMA - “Ci sono voluti un paio di giorni per raccapezzarsi, ma alla fine il quadro è diventato abbastanza chiaro“. Luca Ricolfi, sulle pagine de La Stampa fa “i conti” al fisco e scopre che questo è decisamente iniquo.
Il giornalista spiega che con la cosiddetta “Legge di stabilità” avrebbe sperato che la pressione fiscale potesse cominciare a diminuire. O che la distribuzione del carico fiscale sarebbe diventata più favorevole alla crescita, o anche solo un tantino più giusta. E invece no, niente di tutto questo. A prevalere è stata, quella che il SOle 24Ore ha definito “arroganza fiscale”. Scrive Ricolfi:
“I conti li abbiamo fatti e rifatti un po’ tutti: quotidiani, centri studi, esperti economici, sindacati, associazioni dei consumatori. E alla fine dei conti è difficile non essere arrabbiati, innanzitutto con noi stessi. Perché per un attimo ci eravamo illusi, per un attimo avevamo voluto credere che finalmente, con questa manovra (detta ‘Legge di stabilità’), l’insopportabile pressione fiscale che grava sul nostro sfortunato Paese potesse cominciare a diminuire, sia pure di pochissimo. O che, almeno, la distribuzione del carico fiscale sarebbe diventata più favorevole alla crescita, o anche solo un tantino più giusta. E invece no, niente di tutto questo”.
Continua il giornalista del La Stampa:
Prima di commentare, però, ricapitoliamo i punti fermi. Primo: nonostante la sbandierata diminuzione dell’Irpef, la pressione fiscale complessiva sulle famiglie aumenta leggermente. A regime, infatti la lieve diminuzione dell’aliquota Irpef è più che compensata dalla somma delle misure che aumentano il prelievo: scomparsa di alcune deduzioni e detrazioni, introduzione di franchigie e, soprattutto, ulteriore aumento dell’Iva. Secondo: il grosso della manovra tocca famiglie (con le riduzioni Irpef) e consumatori (con l’aumento dell’Iva), ma lascia sostanzialmente invariata la pressione fiscale sui produttori, peraltro già vessati nelle manovre precedenti. Difficile pensare che una miscela di questo tipo possa stimolare la crescita. Terzo punto: la distribuzione del carico fiscale è più iniqua di prima. Questo è un punto un po’ tecnico, ma ne voglio parlare lo stesso, perché a prima vista sembrerebbe vero il contrario. Il governo ha infatti presentato la sua manovra come una boccata d’ossigeno ai ceti bassi, in quanto le aliquote che sono state abbassate (di 1 punto) sono le prime, quella del 23% e quella del 27%. Quel che non si dice, tuttavia, è che le riduzioni del prelievo sui primi ‘scaglioni’ di reddito riguardano tutti, anche chi guadagna 50 o 100 mila euro l’anno”.
Ancora Ricolfi:
“Facciamo un esempio concreto: un lavoratore che guadagna 18 mila euro avrà uno sconto di 180 euro l’anno (15 euro al mese), ma un lavoratore che guadagna il doppio, ossia 36 mila euro, avrà uno sconto di 280 euro (23 euro al mese), perché percepirà interamente gli sconti previsti sui primi due scaglioni (fino a 28 mila euro). Per il fisco, infatti, ogni reddito è la somma di tanti ‘pezzi’ di reddito (gli scaglioni, appunto), ciascuno dei quali è tassato con una sua aliquota: quindi se un governo abbassa l’aliquota sullo scaglione più alto il beneficio va solo ai ricchi, ma se abbassa l’aliquota sugli scaglioni più bassi il beneficio non va solo ai poveri bensì a tutti, perché il reddito di un ricco è la somma di tanti ‘pezzi’ di reddito, ciascuno tassato con la sua aliquota. In breve la manovra non concentra affatto i benefici sui ceti bassi, ma li spalma un po’ su tutti. Ma davvero su tutti? Assolutamente no, perché dalla riduzione delle aliquote restano esclusi i poverissimi, ossia coloro che guadagnano così poco da essere completamente esentasse (i cosiddetti incapienti)”.
“Come sempre lo strumento fiscale è impotente verso chi sta fuori del circuito del fisco, ossia evasori e veri poveri. Si potrebbe pensare che però almeno i ceti medio-bassi, ossia chi guadagna fra 8 e 28 mila euro (e dunque non è né incapiente né ceto medio), abbia comunque un beneficio. Ancora una volta, sembra ma non è: i soldi per abbassare le aliquote verranno trovati anche eliminando o attenuando vari sconti fiscali preesistenti, con il risultato di annullare o decurtare il già misero regalo di 10 o 15 euro al mese. Se poi a tutto ciò aggiungiamo l’aumento di un punto dell’Iva, che scatterà nella seconda metà del 2013 (ossia dopo le elezioni, guarda caso), è facile dedurne che la pressione fiscale aumenterà su quasi tutti i contribuenti, e in misura massima sui poverissimi, che non solo non potranno usufruire di alcun beneficio fiscale (perché non versano tasse), ma pagheranno l’aumento dell’Iva nella veste di consumatori, e lo faranno in misura maggiore di qualsiasi altro gruppo sociale, visto che la propensione al consumo è ovviamente massima là dove non vi è alcuna possibilità di risparmiare”.
Prosegue Luca Ricolfi:
“Quarto punto: mentre tutti i benefici fiscali previsti sono futuri, la soppressione degli sconti in vigore (detrazioni e deduzioni) scatta già sui redditi del 2012, e dunque è retroattiva, essendo tali redditi in massima parte già maturati (siamo a ottobre, e la legge sarà approvata a fine anno). Di tutta la manovra fiscale quel che più mi ha colpito è proprio la consapevole spudoratezza (o ‘arroganza fiscale’, come l’ha definita Il Sole 24 Ore di ieri) con cui quest’ultimo schiaffo al cittadino viene annunciato: nell’articolo 12 della bozza di legge di stabilità si dice che le norme che sopprimono gli sconti fiscali sono introdotte ‘in deroga’ allo Statuto dei diritti del contribuente (la legge del 2000 che tutela i cittadini dagli abusi dello Stato in materia fiscale). E’ veramente il colmo: un governo che bacchetta gli italiani per il loro scarso senso civico pare non sapere che è lo Stato stesso ad essere criminogeno, quando diventa arrogante e predatore”.
“E ora veniamo ai commenti” – prosegue il giornalista.
“Ne avrei tanti, ma sarebbero troppo amari. Perciò mi limiterò a un’osservazione: con quest’ultima mossa, a mio parere, il governo Monti ha definitivamente mostrato il suo volto politico. L’espressione ‘governo tecnico’ gli si addice sempre di meno, perché al di là dell’indubbia qualità professionale dei suoi membri, di gran lunga superiore a quella degli esecutivi del passato, la somiglianza con i governi politici che l’hanno preceduto è sempre più marcata ed evidente. Lo è nei contenuti, perché questa manovra assomiglia tantissimo ai giochi di prestigio cui i politici della Seconda Repubblica ci avevano abituato in occasione di ogni manovra: varare con una mano misure popolari e nascondere con l’altra le misure impopolari con cui le si finanzia. Ma lo è ormai anche nello stile: vedendoli onnipresenti in televisione, nei convegni, nei talk show, avendo registrato con imbarazzo la sceneggiata dell’altra notte a Ballarò (con annunci, smentite e autosmentite fra membri del governo), ormai mi pare chiaro che molti ministri e sottosegretari di questo governo sono già in campagna elettorale, e lo sono prima ancora dei politici di professione da cui, noi elettori, speravamo imparassero il meno possibile. Ma in fondo che male c’è? Evidentemente ai professori la politica piace, e quanto all’imparare, è ovvio, nessuno è più bravo di loro”.

Tratto da  http://www.blitzquotidiano.it

sabato 6 ottobre 2012


"Se siete onesti, dovete ammettere che quello che oggi tutti cercano improvvisamente di fare, Grillo voleva farlo già cinque anni fa. E tutti gli ridevano dietro. Questi sono tempi in cui Fini lancia lacampagna "Liste pulite - fuori i corrotti dalla politica", e per farlo ha la brillante idea di proporre una petizione popolare e mettersi a raccogliere firme. Sono tempi in cuiGiorgia Meloni lancia una proposta di legge per ripristinare la preferenza diretta. Sono tempi in cui perfino Berlusconi, dopo le ostriche di Fiorito. dichiara di voler fare pulizia interna. Sono tempi in cui anche il cosiddetto nuovo che avanza si mette a chiedere un limite sul numero dei mandati e l'abolizione dei rimborsi elettorali, come "Fermate il declino" di Oscar Giannino. E sono addirittura tempi in cui i grandi protagonisti della politica riscoprono il significato di termini come "movimento" in contrapposizione a "partito" e parlano di "liste civiche", come Pierferdinando Casini, anche se poi dentro a queste liste civiche ci finiscono grandi imprenditori che certamente, di civico nel senso di comune cittadino, hanno poco. Sono tutti tentativi di riverginatura. Se questo tentativo fosse onesto, avrebbero non dico appoggiato la proposta di legge popolare di Beppe Grillo, presentata cinque anni fa, ma perlomeno rispettato la Costituzione italiana, che all'Art.71recita: "Il popolo esercita l'iniziativa delle leggi, mediante la proposta, da parte di almeno cinquantamila elettori, di un progetto redatto in articoli". E cosa la esercita a fare, se poi la proposta non viene calendarizzata per la discussione in aula? Trecentocinquantamila fantasmi, apolidi, che il Parlamento dei nominati ha sfregiato con il peggiore degli insulti: li ha ignorati. Scrive non un pericoloso professionista dell'antipolitica, ma uno stimato costituzionalista come Michele Ainis: "La facoltà prevista dalla Costituzione all'Art.71 di presentare una legge di iniziativa popolare si è ridotta di più e né meno che al ruolo che avevano un tempo le suppliche al sovrano. Con il Parlamento che si arroga il diritto di occuparsene o meno così, a capriccio. Come quei monarchi annoiati che, mollemente adagiati sul trono, decidevano il destino di questo o quel poveretto condotto al loro cospetto sollevando o abbassando il mignolo inanellato". Ad aprile, se nessuno ne discuterà in Parlamento, superate le due legislature la proposta di legge popolare "Parlamento Pulito" si avrà come mai pervenuta. Trecentocinquantamila firme saranno allora prese e buttate nel cesso. Una delle prove più evidenti e indiscutibili del vuoto significato della parola democrazia in questo paese." Claudio Messora, blogger

venerdì 5 ottobre 2012

PRIGIONIERI SIRIANI MASSACRATI DALL'ESERCITO, IL VIDEO FINISCE IN RETE


Originariamente girato da soldati fedeli a Bashar al-Assad, questo video è trapelato tramite attivisti democratici siriani che lo hanno caricato in rete il 23 settembre. Un gruppo di uomini sanguinanti, fatti prigionieri dall'esercito siriano nel mese di agosto 2012, sono sottoposti a estremi abusi fisici, percosse e frustate. 

I militari e i miliziani che vi prendono parte sono eccitati, insultano i prigionieri e le loro famiglie. Le pareti, i radiatori, il pavimento, sono coperti di sangue, mentre le immagini vanno avanti per 3 minuti e 49 secondi, di pestaggio e flagellazione. Il video è sottotitolato in inglese, per chi volesse capire la conversazione tra i soldati e i miliziani. Una rara terribile testimonianza della barbarie in corso in Siria

giovedì 4 ottobre 2012

Sacco e Vanzetti: 23 agosto 1927. 80° anniversario della loro esecuzione


Il 23 agosto del 1927 Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono uccisi sulla sedia elettrica nel penitenziario del Massachussetts con l’accusa di rapina al calzaturificio Slater and Morrill di Boston.

Durante il furto furono assassinati un sorvegliante e un cassiere. I tre processi, che precedettero le esecuzioni, tra evidenti incongruenze ed errori confermarono ingiustamente le accuse, nonostante le prove della loro estraneità ai fatti.
A nulla valsero le proteste contro la sentenza della Corte Americana da parte di comitati e dei tanti cittadini che chiedevanmo il loro scagionamento e proclamavano la loro innocenza.
Sacco e Vanzetti furono il capro espiatorio contro l’intolleranza e la discriminazione, molto diffusa all’epoca, verso gruppi anarchici e immigrati italiani. Un’accusa esclusivamente dettata da motivi razziali e politici.

Bartolomeo Vanzetti, nato nel 1888 a Villafalletto, in provincia di Cuneo e Nicola Sacco nato il 27 aprile 1891 a Torremaggiore nel foggiano sbarcorono negli Stati Uniti nei primi anni del ‘900. Erano gli anni del grande flusso emigratorio verso le americhe, dovuto alla crisi agraria italiana del 1880. Furono 9 milioni, tra il 1800 e il 1915, gli italiani che lasciarono la penisola in cerca di un futuro migliore. Gli Stati Uniti, in piena espansione capitalistica aprirono le frontiere e gli italiani ben presto furono oggetto di una radicale discriminazione etnica.

Anche le retribuzioni salariali erano caratterizzate da una forte componente razziale. I più pagati erano gli americani o i nord europei, seguiti dalla gente di colore e all’ultimo posto dai migranti italiani.

E’ in questo clima d’intolleranza che Sacco e Vanzetti si conobbero a Boston nel 1916, durante una riunione di anarchici e divennero amici inseparabili.

Fuggiti in Messico per evitare il servizio di leva rientrano negli Stati Uniti qualche mese dopo e iniziano a scrivere per il giornale anarchico - Cronaca sovversiva -. Il 5 maggio del 1920 vengono arrestati dopo il ritrovamento nei loro abiti di volantini anarchici e di armi da fuoco. L’accusa che li vide nel banco degli imputati fu quella di essere gli autori e gli omicidi di una rapina avvenuta pochi giorni prima al calzaturificio di Boston.

Il verdetto, dall’epilogo tragico, scosse l’opinione pubblica e l’episodio divenne ben presto espressione di ingiustizia e di discriminazione, tanto da diventarne un caso emblematico, tramandato ai posteri.

Nel ’77, dopo aver riaperto il caso, il governatore del Massachusetts Michael Dukakis sentenziò ufficialmente l’innocenza di Sacco e Vanzetti riabilitandoli alla memoria storica.

Tratto da http://www.pane-rose.it