giovedì 27 ottobre 2011

IL TAV SECONDO IL GIUDICE IMPOSIMATO

Il giudice Ferdinando Imposimato, magistrato ed ex senatore della commissione antimafia, ci parla del suo libro "Corruzione ad alta velocità" e delle implicazioni del TAV con politici, grandi imprese, giornalisti e criminalità organizzata.




Corruzione ad altà velocita - Ferdinando Imposimato

Ferdinando Imposimato è un magistrato che si è sempre opposto alla gestione criminale dell'alta velocità, a iniziare dalla tratta Roma-Napoli. Per questo è stato emarginato in modo bipartisan dai partiti ed escluso dalla Commissione antimafia. Il giudice Imposimato crede che gli stessi rischi di infiltrazioni mafiose attraverso collusioni politiche si possano manifestare anche nell'opera insensata della Tav in Val di Susa. Un'opera che non serve assolutamente a nulla se non alla spartizione di 22 miliardi a carico dei cittadini. In Italia non funziona nulla, un maledetto nulla. Monterosso non esiste più a causa dell'incuria dei politici. Andremo in pensione a 67 anni e sarà possibile licenziare senza addurre motivi, il tutto per pagare il debito pubblico creato da sciacalli che non smettono, non smettono mai. Un maledetto mai!




Tratto da www.mmasport.it

lunedì 24 ottobre 2011

L'ARROGANZA DELLA CLASSE POLITICA DI QUESTO PAESE_ Report e l’ignorante Cota



A fronte di una giornata più che positiva per il Movimento No Tav sono state diverse le testate giornalistiche e le televisioni che hanno provato a raccontare la manifestazione di ieri, domenica 23 ottobre. Un tentativo ben riuscito, possiamo dirlo, è il servizio di Report che oltre ad intervistare diverse persone della valle e non, trasmette anche un’intervista davvero infelice a Cota. Il Presidente della Regione Piemonte, infatti, con le sue dichiarazioni mostra quanto poco sappia di Tav per poi innervosirsi e negare ulteriori commenti. Che vergogna Cota…!
Ecco le battute tra il giornalista di Report, Emanuele Bellano  e Cota:
EMANUELE BELLANO: Qual è secondo lei l’utilità effettiva di quest’opera?
ROBERTO COTA – PRESIDENTE REGIONE PIEMONTE: L’utilità effettiva di quest’opera è quella di aprire il Piemonte verso l’Europa,non soltanto il Piemonte ma di aprire tutto il sistema paese verso l’Europa e questo vuol dire tante cose. Prima di tutto è un’apertura anche psicologica, sicuramente ha anche delle ricadute da questo punto di vista, di prospettiva. Poi ha delle ricadute dal punto di vista commerciale, dal punto di vista produttivo.
EMANUELE BELLANO: Però i dati ufficiali dicono che per esempio la linea storica esistente oggi è sottoutilizzata, è utilizzata a un sesto del suo valore.
ROBERTO COTA – PRESIDENTE REGIONE PIEMONTE: Se mi vuole fare un’intervista sulla Tav mi prende un appuntamento e la facciamo.

Appuntamento richiesto e puntualmente negato.....

Tratto da www.notav.info

domenica 23 ottobre 2011

I LIMITI ALLA CRESCITA – ALTRI QUARANT'ANNI?



Quarant’anni fa, quando lessi “I Limiti della Crescita”, credevo già che l’aumento dell’uso totale delle risorse (tempi di popolazione per uso pro capite delle risorse) si sarebbe fermato entro i successivi quarant’anni. L’analisi modellistica del gruppo di Meadows era una forte conferma di quella convinzione comune basata sui primi principi risalenti almeno a Malthus e ai primi economisti classici.

Beh, siamo quarant’anni dopo e la crescita economica è ancora l’obiettivo numero uno delle politiche di praticamente ogni nazione: questo è innegabile. Gli esperti affermano che i “neo-malthusiani” si erano semplicemente sbagliati e che continueremo a crescere. Ma io penso che la crescita economica sia già finita nel senso che la crescita che continua ora è antieconomica, costa più di quello che vale marginalmente e ci rende più poveri piuttosto che più ricchi. Possiamo ancora chiamarla crescita economica, o semplicemente “crescita” nell’opinione confusa che la crescita debba essere sempre economica. Io sostengo che, specialmente nei paesi ricchi, abbiamo raggiunto il limite economico di crescita, ma che non lo sappiamo e disperatamente nascondiamo il fatto con difetti di contabilità nazionale, perché la crescita è il nostro idolo e smetterlo di adorare è anatema.
Non una confutazione il chiedermi se preferirei vivere in una caverna e congelare al buio piuttosto che accettare tutti i vantaggi storici della crescita. Certo che no. I vantaggi della crescita nell’insieme sono, a mio avviso, superiori ai costi totali, sebbene alcuni storici ne dibattano. In ogni caso non possiamo annullare il passato e dovremmo essere grati a coloro che hanno sostenuto i costi della creazione della ricchezza di cui godiamo ora. Ma, come gli economisti dovrebbero sapere, sono i costi e benefici marginali (non totali) che sono rilevanti per determinare quando la crescita diventa antieconomica. I vantaggi marginali diminuiscono perché soddisfiamo inizialmente i nostri bisogni più urgenti; i costi marginali aumentano perché per prime usiamo le risorse più facilmente accessibili e sacrifichiamo gli ecosistemi meno vitali mentre cresciamo, convertendo la natura in manufatti. I benefici marginali di una terza auto valgono i costi marginali degli sconvolgimenti climatici e dell’innalzamento del livello dei mari? La diminuzione dei vantaggi marginali tenderà a essere pari all’aumento dei costi marginali, fino a che i benefici netti saranno positivi, proprio quando i vantaggi netti cumulativi di crescita del passato sono al massimo! Nessuno è contro l’essere più ricco, almeno fino ad un qualche sufficiente livello di ricchezza. Che ricco sia meglio di povero è lapalissiano. Che la crescita ci faccia diventare più ricchi è un errore elementare persino all’interno della logica di base dell’economia standard.
Come suggerito sopra, non vogliamo davvero sapere quando la crescita diventa antieconomica, perché allora dovremo smettere di crescere e non sappiamo come gestire un’economia stazionaria mentre siamo religiosamente impegnati in un’ideologia del “senza limite”. Vogliamo credere che la crescita possa “curare la povertà” senza condivisione e senza limitare la dimensione della specie umana nel creato. Per mantenere questo stato di illusione confondiamo i due distinti significati del termine “crescita economica”. A volte ci si riferisce alla crescita di ciò che chiamiamo economia (il sottosistema fisico del nostro mondo costituito dalle scorte di popolazione e di ricchezza e dal flusso di produzione e consumo). Quando l’economia diventa fisicamente più grande, la chiamiamo “crescita economica”. Ma il termine ha anche un secondo significato, molto diverso: se la crescita di qualcosa causa benefici che aumentano più dei costi, allora chiamiamo anche questo “crescita economica”, crescita che è economica nel senso che produce un vantaggio o un profitto netto. Ora, la “crescita economica” nel primo senso del termine comporta una “crescita economica” nel secondo senso del termine? No, assolutamente no. L’idea che un’economia più grande debba sempre farci diventare più ricchi è pura confusione.
Che gli economisti debbano contribuire a questa confusione è sconcertante, perché tutta la microeconomia è dedita a cercare la dimensione ottimale di una determinata attività, il punto oltre il quale i costi marginali superano i benefici marginali e una crescita ulteriore diventerebbe antieconomica. Ricavo marginale=Costo marginale è anche chiamato “regola del quando fermarsi” per la crescita di un’azienda. Perché questa semplice logica dell’ottimizzazione scompare nella macroeconomia? Perché la crescita della macroeconomia non è soggetta a una regola analoga? 
Ci rendiamo conto che tutte le attività microeconomiche sono parte di un più grande sistema macroeconomico e che la loro crescita causa lo spostamento e il sacrificio di altre parti del sistema. Ma la stessa macroeconomia è pensata per essere omnicomprensiva e quando si espande, presumibilmente nel vuoto, non sposta nulla e quindi non comporta alcun costo di opportunità. Ma questo è ovviamente falso. Anche la macroeconomia è una parte, un sottosistema della biosfera, una parte della Grande Economia dell’ecosistema naturale. Anche la crescita della macroeconomia impone maggiori costi opportunità di un ridotto capitale naturale, che ad un certo punto limiterà un’ulteriore crescita.
Ma alcuni dicono che se il nostro metro empirico di crescita è il PIL, basato sull’acquisto e vendita volontari di beni e servizi sui mercati liberi, allora ciò garantisce che la crescita consiste sempre in beni, non “mali”. Questo perché le persone comprano volontariamente solo beni. Se comprassero dei “mali” dovremmo ridefinirli come beni! Abbastanza lontano dal vero, che però non è così lontano. Il mercato libero non prezza i mali, ma non di meno essi vengono inevitabilmente prodotti insieme ai beni. Dato che i mali non hanno prezzo, la contabilità del PIL non può sottrarli, mentre registra la produzione aggiuntiva di anti-mali (che hanno un prezzo) e li conta come beni. Per esempio, non sottraiamo il costo dell’inquinamento come un male, ma aggiungiamo il costo della pulizia dall’inquinamento come un bene. Questo è un conteggio asimmetrico. Inoltre conteggiamo il consumo del capitale naturale (esaurimento delle miniere, pozzi, falde, foreste, pesca, suolo, eccetera) come se si trattasse di reddito invece che di prelievo di capitale: un colossale errore di contabilità. Paradossalmente quindi il PIL, qualsiasi cosa misuri, è anche il migliore indice statistico che abbiamo del totale dell’inquinamento, dell’esaurimento delle risorse, della congestione e della perdita di biodiversità. L’economista Kenneth Boulding ha suggerito, in modo solo in parte ironico, di ridefinire il PIL come Costo Interno Lordo. Almeno metteremmo costi e benefici in una contabilità separata per il confronto. Gli economisti e gli psicologi scoprono ora che, al di là di una soglia sufficiente, la correlazione positiva tra il PIL e la propria percezione della felicità scompare. Questo non sorprende perché il PIL non è mai stato inteso come misura della felicità o del benessere, solo come attività; alcune sono piacevoli, alcune salutari, alcune purtroppo necessarie, alcune correttive, alcune banali, alcune dannose e alcune stupide.
In sintesi, crescita economica in senso 1 (dimensioni) può essere, e negli USA è diventata, crescita antieconomica in senso 2 (benefici netti). Ed è il senso 2 che conta maggiormente. Penso che i Limiti alla Crescita nel senso 2 siano stati raggiunti negli ultimi quarant’anni, ma che noi li abbiamo sempre volontariamente negati, con gran danno per la maggior parte di noi ma a beneficio di un’élite minoritaria che continua a spingere l’ideologia della crescita perché ha trovato modi per privatizzare tali benefici di crescita socializzando i persino maggiori costi. La domanda principale nella mia testa è: “Possono la negazione, l’illusione, l’offuscamento durare altri quarant’anni?” E se continuiamo a negare i limiti economici della crescita, quanto ci rimane prima di schiantarci contro i più discontinui e catastrofici limiti biofisici? Spero che nei prossimi quarant’anni potremmo finalmente riconoscere e adattarci a un limite economico più plausibile.
Adattarsi significherà passare dalla crescita a uno stato stazionario dell’economia, uno quasi certamente su scala più piccola dell’attuale. Per scala intendo una misura fisica dell’economia rispetto all’ecosistema, probabilmente misurata meglio attraverso la produttività delle risorse. E, ironicamente, il migliore indice esistente che abbiamo per misurare questo è il PIL reale!
Devo confessare che sono sorpreso che tale negazione abbia resistito per quarant’anni. Credo che per svegliarsi ci sia bisogno di qualcosa come un pentimento e una conversione, per metterla in termini religiosi. È inutile “prevedere” se avremo la forza spirituale e la chiarezza razionale per una tale conversione. La previsione della direzione della storia si fonda su un determinismo che nega scopo e sforzi come indipendentemente causali. Nessuno vince un premio per predire il suo comportamento. La previsione del comportamento degli altri è problematica perché sono così simili a noi. E se siamo veramente deterministi allora non importa cosa prediciamo, anche se le nostre predizioni sono determinate. Come non-determinista spero e lavoro per porre fine alla mania della crescita entro i prossimi quarant’anni. Questa è la mia scommessa personale nel futuro a medio termine. Quanta fiducia ho di vincere la scommessa? Circa il 30%, forse. È del tutto plausibile che esauriremo totalmente le risorse della terra e i sistemi di supporto vitale nei tentativi rovinosi di crescere continuamente: forse attraverso conquiste militari delle risorse di altri paesi e dei rimanenti beni comuni, forse con tentativi di conquista delle “alte frontiere” dello spazio. Molti pensano, solo perché abbiamo gestito un paio di acrobazie nello spazio con spese enormi, che la fantascienza della colonizzazione dello spazio siderale sia tecnicamente, economicamente, politicamente ed eticamente praticabile. E queste sono le stesse persone che ci dicono che sulla Terra un’economia di stato stazionaria è un compito troppo difficile per essere realizzato.

Tratto da www.comedonchisciotte.org

sabato 22 ottobre 2011

La Fata Morganda e il Dirimente in Val di Susa


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Il Pdmenoelle si è portato avanti. In attesa che siano vietate le manifestazioni sul territorio nazionale, ha vietato ai suoi iscritti di partecipare a quella di domenica 23 ottobre in Val di Susa dei No Tav. Il segretario regionale piemontese Gianfranco Morgando, la Fata Morganda della Val di Susa, ha emesso un'ordinanza perentoria, una maledizione medioevale:
"E' DIRIMENTE per gli iscritti al Pd la non partecipazione... Non consideriamo legittimo che iscritti al Pd aderiscano alla manifestazione di domenica... Sarà messa in discussione la convivenza nel partito con queste persone".
I sindaci in fascia tricolore e gli amministratori del pdmenoelle che hanno sfilato nelle ultime manifestazioni rischiano l'espulsione dal partito, come ai bei vecchi tempi di Stalin. All'editto si sono aggiunte le parole di mago Fessino: "La contestazione di domenica è cambiata di segno. Ha assunto una connotazione pregiudiziale e ideologica e anche il movimento No Tav è mutato: era nato come raggruppamento di popolazioni prevalentemente locali, è diventato un coagulo di contestatori di qualsiasi opera infrastrutturale sulla base di un’idea antistorica". Fassino finge di ignorare che la TAV non ha alcuna utilità. Lo sanno anche i sassi, ma è bene ripetere che costerà 22 miliardi,quasi tutti a carico della collettività, una linea merci che sarà finita tra vent'anni, per untraffico inesistente, la tratta ferroviaria attuale trasporta solo il 50% delle merci.
Inoltre sono stati spesi centinaia di milioni di euro per l'adeguamento della sagoma del tunnel esistente del frejus, per permettere ai carri che trasportano i camion di passarci sotto. I lavori sono stati terminati ma la linea resta sotto utilizzata e lo scalo merci di Orbassano (costruito per essere il più grande d'Europa viene via via dismesso), perchè?
Il Pdmenoelle si è portato avanti. In attesa che siano vietate le manifestazioni sul territorio nazionale, ha vietato ai suoi iscritti di partecipare a quella di domenica 23 ottobre in Val di Susa dei No Tav. Il segretario regionale piemontese Gianfranco Morgando, la Fata Morganda della Val di Susa, ha emesso un'ordinanza perentoria, una maledizione medioevale:
"E' DIRIMENTE per gli iscritti al Pd la non partecipazione... Non consideriamo legittimo che iscritti al Pd aderiscano alla manifestazione di domenica... Sarà messa in discussione la convivenza nel partito con queste persone".
I sindaci in fascia tricolore e gli amministratori del pdmenoelle che hanno sfilato nelle ultime manifestazioni rischiano l'espulsione dal partito, come ai bei vecchi tempi di Stalin. All'editto si sono aggiunte le parole di mago Fessino: "La contestazione di domenica è cambiata di segno. Ha assunto una connotazione pregiudiziale e ideologica e anche il movimento No Tav è mutato: era nato come raggruppamento di popolazioni prevalentemente locali, è diventato un coagulo di contestatori di qualsiasi opera infrastrutturale sulla base di un’idea antistorica". Fassino finge di ignorare che la TAV non ha alcuna utilità. Lo sanno anche i sassi, ma è bene ripetere che costerà 22 miliardi,quasi tutti a carico della collettività, una linea merci che sarà finita tra vent'anni, per untraffico inesistente, la tratta ferroviaria attuale trasporta solo il 50% delle merci.
Dopo una campagna stampa di TUTTI i giornali che ha accomunato per una settimana i black bloc ai valsusini, la prefettura di Torino ha stabilito il coprifuoco per la Val di Susa: "Dalle ore 00.00 del 22 ottobre alle ore 7.00 del 24 ottobre 2011 siano interdette alla circolazione di persone e mezzi via dell'Avanà, via Roma e strada provinciale 233 nel comune di Chiomonte e la strada comunale per frazione San Rocco e quella per frazione San Giovanni nel comune di Giaglione...E' inoltre vietato l'accesso a chiunque a tutti i sentieri e alle aree prative e silvestri dei comuni di Giaglione e Chiomonte che comunque conducano all'area di cantiere definita dalla recinzione esistente nonché alle aree recintate retrostanti l'area del museo archeologico di Chiomonte e l'area della centrale idroelettrica di Chiomonte. Nella stessa data e orari è vietato l'esercizio di qualsiasi attività venatoria nei comuni di Venaus, Exilles, Chiomonte e Giaglione."
Non vi sembra tutto troppo, tutto esagerato, tutto dilatato all'inverosimile? La Val di Susa è l'ultimo fortino della Casta, una ridotta di Salò in cui sono arroccati miliardi di euro per cooperative di area, infiltrazioni mafiose, lobby politiche. Fallire in Val di Susa può essere l'inizio della fine.
Nel fortino sono stati mandati migliaia di poliziotti, cittadini in divisa contro cittadini in a biti civili. Le Forze dell'Ordine sono circondate da una rete per fare un buco nel monte che non serve a nulla. Io non taglierei quella rete, ma ne aggiungerei invece un'altra e poi un'altra ancora. A loro protezione. Poi scenderei nelle città, nelle università d'Italia per spiegare che la Val di Susa è l'ultima campana per il Potere, fornirei dati e cifre per dimostrare che la Tav è l'ennesimo furto alle casse dello Stato e al nostro futuro, come la Gronda di Genova, il Ponte di Messina, l'Expo di Milano. La Val di Susa deve andare in Italia, la sua campana deve suonare per tutti.

tratto da www.beppegrillo.it

venerdì 14 ottobre 2011

Borsellino, chiesta la revisione del processo Indagato anche il questore di Bergamo

E' ufficiale: la Procura Generale di Caltanissetta ha valutato a fondo nell'ultimo mese il lavoro del pubblico ministero Sergio Lari e ha deciso di chiedere alla Corte d'Assise la revisione del processo per la strage di via D'Amelio, che portò a 11 condanne, di cui 7 ergastoli.
Nel caso in cui l'istanza di revisione venisse accolta la procura nissenachiederà il rinvio a giudizio anche per l'attuale questore di Bergamo Vincenzo Ricciardi, oltre che per Salvatore La Barbera, oggi dirigente della polizia postale di Milano, e di Mario Bo, a capo della Squadra Mobile di Trieste. Sono i tre super poliziotti che lavorarono e indagarono sulla strage di via D'Amelio nel pool costituito da Arnaldo La Barbera, morto nel 2002.
Le indagini dell'allora pool La Barbera diedero credito al collaboratore di giustizia Vincenzo Scarantino e portarono alle 11 condanne passate in giudicato. Ma il quadro definito da quelle indagini e dalle parole di Scarantino è stato completamente ribaltato negli ultimi anni dalle dichiarazioni di altri due pentiti, Gaspare Spatuzza e Fabio Tranchina.Sono quindi scattate nuove indagini, da parte della procura di Caltanissetta, terminate un mese fa. In oltre mille pagine il magistrato Sergio Lari e i suoi collaboratori hanno ricostruito moventi, organizzazione, esecuzione della strage in cui morirono Paolo Borsellino e la sua scorta. Lo stesso magistrato, in quelle mille pagine, è arrivato a definire "colossale depistaggio" un'importante fetta delle indagini allora condotte dal pool La Barbera e condizionate dalle dichiarazioni di Scarantino.
E' nell'ambito di quella presunta operazione di depistaggio che risulta indagato anche l'attuale questore di Bergamo Ricciardi, per il quale l'ipotesi di reato è di "calunnia aggravata". E a vario titolo risultano indagati anche Mario Bo e Salvatore la Barbera. Secondo il pubblico ministero Lari alcuni degli imputati condannati in via definitiva non c'entravano nulla con l'omicidio Borsellino. La revisione del processo riguarderà i già condannati Salvatore Profeta, Cosimo Vernengo, Giuseppe Urso, Giuseppe La Mattina, Natale Gambino, Gaetano Scotto, Gaetano Murana, Vincenzo Scarantino, Salvatore Candura, Salvatore Tomaselli e Giuseppe Orofino. Gli ultimi tre sono in libertà perché hanno già scontato la pena. Per gli altri è stata chiesta la sospensione dell’esecuzione della pena.



Tratto da www.bergamonews.it

lunedì 10 ottobre 2011


"Il mio nome è Salvo. Abito a 6Km dal cancrovalorizzatore di Parona(PV) che brucia monnezza proveniente da mezza Lombardia regalando cancri, leucemie e altre gravi malattie agli abitanti della zona. Io sono uno dei fortunati vincitori di una leucemia linfatica cronica. Sto combattendo contro questa malattia e per il momento sto vincendo. Purtroppo qui dalle mie parti non riusciamo ad organizzare qualcosa di forte per far chiudere questo mostro! Ci indignamo, tutti mostrano solidarietà, ma alla fine continuano a bruciare schifezze. Il Sindaco di Vigevano dichiara di aver bisogno di almeno 3/4 anni per uscire dall'illegalità dovuta ad una raccolta differenziata scandalosa inferiore al 25%... e intanto continuiamo a bruciare schifezze! Tutti ci indignamo ma nessuno fa nulla di concreto! Un cittadino vigevanese!".Salvatore Mandara, Vigevano - Italia

Tratto da www.beppegrillo.it

giovedì 6 ottobre 2011

"Ricordarsi che moriremo è il modo migliore che conosco per evitare le trappola di pensare di avere qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è nessun motivo per non seguire il vostro cuore"


Steve Jobs è morto. E sono tante, forse troppe le voci dissonanti che arrivano da ogni parte del mondo.
Un turbinio di suoni in cui il cordoglio si mescola a commenti fuori luogo, agli improperi di chi sostiene che muore tanta gente e nessuno se ne accorge, oppure semplicemente che chi se ne frega, o ancora che Apple ignora i suicidi degli operai nelle sue fabbriche in Cina (se consideriamo Steve Jobs il loro diretto assassino -e non il meschino sistema che tutti alimentiamo comprando, vendendo, lavorando, studiando, vivendo all’interno del sistema…- chi compra abiti cuciti da dodicenni “cinesi” dovrebbe essere considerato altrettanto colpevole. Parliamone…) o -ancora- che si dovrebbe pensare a tutte le vittime del cancro, che anche basta con la commemorazione di uno che vendeva dispositivi costosissimi… e ancora parole, parole, parole. Tutto pur di sentirsi fuori da questa massa di adoratori privi di senso critico che da ore vanno seguendo il virtuale carro funebre che scorre sulle bacheche del mondo intero.
La morte nell’epoca del web 2.0 diventa un fenomeno di totale partecipazione, un’isteria collettiva, un enorme abbraccio virtuale. Dove l’eccesso -in ogni senso- regna sovrano e si perde ogni senso della misura, del pudore, della composta accettazione di un evento che, comunque accada, ha un’unica causa: la mortalità stessa dell’essere umano.
Le cure mediche, la sicurezza, l’attenzione a non dei farsi nemici non sono che strategie posticipatorie. Non esiste cura per la morte, ma questo non ci salva dal viverla in maniera partecipata e drammatica, come fosse una tragedia. Sempre. La difficoltà ad accettare la perdita fa parte della nostra umanità. La morte di un personaggio noto, geniale,  che ha scolpito con maestria la sua immagine  nell’immaginario collettivo(chiunque egli sia stato nel privato e qualunque errore abbia commesso) provoca sgomento. Di cosa ci si stupisce, esattamente?
Certo, il fatto di aver avuto l’occasione di mostrare e dare valore al suo talento (occasione che non a tutti i talentuosi viene concessa…) non lo rende più degno di commozione di chi muore sotto le macerie lavorando, a nero, per 3.95 euro l’ora, anzi, ma questo cosa significa? La celebrazione dei cosiddetti working class heros dovrebbe avvenire ogni giorno, ma non è evitando di onorare Jobs che si onorano i lavoratori che precipitano, in silenzio, dalle impalcature. A cosa serve sottolineare l’ovvio? È davvero necessario o serve soltanto a nutrire la vanità di chi ama pontificare sentendosi costantemente al di fuori della massa che bela beata e ignorante?
Chi ha conosciuto e stimato l’ex CEO ha il diritto di piangerlo a voce alta, di ricordare le sue parole e pubblicizzare il proprio dolore come meglio crede. C’era davvero bisogno che lo dicessi? A quanto pare, sì.
Personalmente -lo ammetto- non sono una Apple-addicted.  Sono, ovviamente, un’appassionata di tecnologia ma non possiedo dispositivi Apple e i miei favori non sono mai andati all’azienda di Cupertino. Non ho in camera una riproduzione di Steve Jobs in scala 1:1 verso cui genuflettermi ogni sera e mi auguro non ce l’abbia nessuno.
Che Jobs non sia dio non credo sia necessario ricordarlo, ma da qui a non tributargli i doverosi onori ce ne passa.
Lo ha detto Steve Wozniak (uno degli uomini che insieme a Jobs fondò la Apple in un garage, per poi trasformarla in un colosso mondiale con la sola forza delle idee e l’intraprendenza) e voglio ripeterlo anch’io: la morte di Jobs è come quella di Lennon, di JFK, di Lady Diana, di Stanley Kubrick, di Albert Einstein, o di chiunque sia stato in grado di rivoluzionare il mondo in cui viveva. È epocale. E arriva in un momento storico in cui potrebbe davvero diventare uno spartiacque culturale. Non ci sarebbe nulla di folle se, da oggi, la storia della tecnologia venisse spaccata in un prima di Jobs e dopo Jobs. E non perché gli si debbano assegnare caratteristiche cristologiche o -in generale- divine (spero ci si guardi bene dal farlo…) ma perché con la sua morte si chiude un ciclo che, a meno di non volerlo santificare, sarà impossibile portare avanti.
Toccherà rinascere. Sotto altro segno.  Nessuno potrà mai inserirsi nella sua scia, gli uomini come Jobs muoiono senza eredi, l’unico che potrà sostituirlo sarà -per forza di cose- la sua nemesi. I padri si uccidono sempre.
D’altronde, Jobs aveva analizzato nel profondo il senso ultimo della mortalità, tanto che (nel celebre discorso all’Università di Stanford che vi trascrivo in versione integrale in coda all’articolo) ebbe a dire: ”Ricordarsi che moriremo è il modo migliore che conosco per evitare le trappola di pensare di avere qualcosa da perdere. Siete già nudi. Non c’è nessun motivo per non seguire il vostro cuore”.
Steve Jobs non merita meno rispetto o meno considerazione di altri grandi nomi della cultura e della scienza solo perché era un “semplice” imprenditore, quella dell’imprenditoria non è una categoria che fa necessariamente rima con i concetti di marciume, sotterfugio, sporcizia… Questa è un’idea tutta italiana di cui sarebbe tempo di liberarsi. Jobs non merita meno attenzione d’altri perché la sua arte consisteva nell’inventare device tecnologici a scopo commerciale e non film, libri, dipinti, canzoni o pièce teatrali… Se qualcuno -oggi- vuol giocare a sminuire la portata della rivoluzione innescata da Steve Jobs farà solo la figura di chi vuol essere controcorrente a tutti i costi, di chi antepone l’importanza del mostrare un punto di vista “originale” alla sensatezza del punto di vista.

Tutte le posizioni sono legittime. Le critiche sono sacrosante. Anzi, sono addirittura ovvie. Come le osservazioni in merito all’indifferenza in cui vengono condannati i milioni di morti che -da qualche parte nel mondo- si seppelliscono ogni giorno, o sulla questione dell’accessibilità universale all’innovazione tecnologica (che Apple -come tutte le multinazionali- non ha certo praticato…). Tutte posizioni condivisibilissime. Ma che senso ha affiancare certo discorsi alla morte di un uomo? Perché non parlarne domani, dopodomani e per il resto della vita (e magari fare qualcosa in proposito…) invece di tirar fuori certi argomenti dal cilindro proprio oggi per giocare a quelli che vedono e capisco meglio degli altri quanto accade nel mondo?  Forse è ora di fermarsi un secondo a pensare, semplicemente, se è davvero utile manifestare -oggi- questo genere dissenso, o se non è un camuffato desiderio di protagonismo. Dissenso verso cosa, poi? Verso chi manifesta contrizione per la morte di qualcuno? E cosa c’è di deprecabile? Steve Jobs non era certo Augusto Pinochet. Nessuno sta piangendo un infame dittatore, si sta piangendo un uomo che ha modificato il corso della storia, un abile oratore, un visionario -per molti- un artista. Quando si ricorda la morte di Albert Camus o Michelangelo Merisi ci si concentra forse sul fatto che fossero violente teste calde, o si bada prima di tutto alla perdita che la letteratura e la pittura hanno subito?
Perché non può essere lo stesso per Jobs?
Forse -per il momento- vale la pena provare a capire perché la morte di Jobs faccia tanto rumore e cosa questo rumore ci racconta del mondo in cui viviamo, delle persone, dell’attualità e del prossimo futuro. Analizziamo. Scopriamo. Sforziamoci di comprendere ragioni e implicazioni. Non si tratta di device. Non è per l’iPod o l’iPhone che il mondo piange e ringrazia… È per la favola del successo, per la rivoluzione culturale e tecnologica, per l’ispirazione ricevuta… E per mille altre ragioni che ancora non risultano visibili da così vicino. A banalizzare son buoni tutti, a capire un po’ meno.
Ma se proprio non si ha intenzione di unirsi al cordoglio, basta restare in silenzio.
Da parte mia, un semplice addio, Steve: grazie per aver innescato l’ennesima riflessione. Penserò. E non potrà che farmi bene.

mercoledì 5 ottobre 2011

Guerra alla Rete



Forse siamo arrivati al dunque, alla resa dei conti. Questa gentaglia vuole chiudere la Rete. Non può farlo per decreto e allora crea leggi su leggi per limitare, circoscrivere, oscurare. L'annuncio di Wikipedia che chiude il suo sito alla consultazione è una reazione a un atto gravissimo che limita la libertà di opinione. La legge Alfano, noto da tempo per la super porcata del Lodo Alfano, è un atto di guerra contro l'informazione libera, peggio delle leggi fasciste, peggio di tutto. Se chiudono la Rete nessun dialogo sarà più possibile e non ci sarà alcuna alternativa alla piazza.
Fate conoscere la vostra opinione al ministro Alfano inviandogli una email.
ANNUNCIO DI WIKIPEDIA
"Cara lettrice, caro lettore,
in queste ore Wikipedia in lingua italiana rischia di non poter più continuare a fornire quel servizio che nel corso degli anni ti è stato utile e che adesso, come al solito, stavi cercando. La pagina che volevi leggere esiste ed è solo nascosta, ma c'è il rischio che fra poco si sia costretti a cancellarla davvero.
Negli ultimi 10 anni, Wikipedia è entrata a far parte delle abitudini di milioni di utenti della Rete in cerca di un sapere neutrale, gratuito e soprattutto libero. Una nuova e immensa enciclopedia multilingue e gratuita.
Oggi, purtroppo, i pilastri di questo progetto — neutralità, libertà e verificabilità dei suoi contenuti — rischiano di essere fortemente compromessi dal comma 29 del cosiddettoDDL intercettazioni.
Tale proposta di riforma legislativa, che il Parlamento italiano sta discutendo in questi giorni, prevede, tra le altre cose, anche l'obbligo per tutti i siti web di pubblicare, entro 48 ore dalla richiesta e senza alcun commento, una rettifica su qualsiasi contenuto che il richiedente giudichi lesivo della propria immagine.
Purtroppo, la valutazione della "lesività" di detti contenuti non viene rimessa a un Giudice terzo e imparziale, ma unicamente all'opinione del soggetto che si presume danneggiato.
Quindi, in base al comma 29, chiunque si sentirà offeso da un contenuto presente su un blog, su una testata giornalistica on-line e, molto probabilmente, anche qui su Wikipedia, potrà arrogarsi il diritto — indipendentemente dalla veridicità delle informazioni ritenute offensive — di chiedere l'introduzione di una "rettifica", volta a contraddire e smentire detti contenuti, anche a dispetto delle fonti presenti.
In questi anni, gli utenti di Wikipedia (ricordiamo ancora una volta che Wikipedia non ha una redazione) sono sempre stati disponibili a discutere e nel caso a correggere, ove verificato in base a fonti terze, ogni contenuto ritenuto lesivo del buon nome di chicchessia; tutto ciò senza che venissero mai meno le prerogative di neutralità e indipendenza del Progetto. Nei rarissimi casi in cui non è stato possibile trovare una soluzione, l'intera pagina è stata rimossa.
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Tratto da www.beppegrillo.it

Il mondo ci declassa ed ecco il Parlamento come butta il tempo



Dopo Standard & Poor's, anche Moody's ci ha declassati. Significa che il nostrodebito pubblico è troppo alto e che diamo meno garanzie sulla sua onorabilità. Quindi, per logica conseguenza, se vogliamo risalire quei tre gradini dobbiamo ripianarlo, dobbiamo cioè diminuire il debito pubblico. Ma per farlo, oltre alle famose "riforme strutturali", alle leggende sulle "liberalizzazioni", ai luoghi comuni sui "tagli alla spesa pubblica" e via dicendo, curiosamente dobbiamo aumentarlo. Siamo costretti ad aumentarlo per diminuirlo. Misteri dell'economia di larga scala. Sì, perchéStandard & Poor's e Moody's condannano il nostro spread, il differenziale tra i rendimenti dei titoli di stato dei vari paesi, ad aumentare. Il che significa avere più interessi da pagare. Il che significa aumentare il debito pubblico. Niente paura, per fortuna il governo ha subito tranquillizzato i mercati: "stiamo lavorando per risolvere". Appena si è diffusa la notizia, Moody's ha rivisto di un ulteriore gradino al ribasso il nostro declassamento.

 Già, perchè se è vero, come ha detto questa mattina Reguzzoni (capogruppo Lega alla Camera) che i mercati premiano la stabilità politica e non il voto, bisogna pur accertarsi dela "natura" di questa stabilità. La nostra traiettoria politica, per esempio, è in costante caduta libera. Più stabili di così! Se la stabilità è quella di un governo inefficiente, allora meglio il voto. Lo ha detto ieri Tremonti, riferendosi allo spread migliore applicato ai titoli di stato spagnoli: "E' perché lì si vota". Poi ha subito aggiunto che non si riferiva all'Italia. Chissà, forse parlava della prossima riunione condominiale della casa che gli ha procurato Milanese, in nero. Come Bagnasco, insomma, che parla di comportamenti licenziosi della politica che fanno male al paese, ma non si riferisce a Berlusconi bensì, come rassicura Formigoni, "parla per tutti".
 Uno dice, bene: ci hanno declassati, la crisi galoppa, c'è chi dice che entro pochi mesi in Europa si perderanno milioni di posti di lavoro, dunque il Parlamento starà sicuramente lavorando, giorno e notte, per identificare e varare le misure più efficaci per tamponare la situazione. Giusto? Sbagliato.
 Accendi la web cam della camera, tipo alle 9 del mattino, e vedi una processione di omini che si infilano uno dopo l'altro, lentamente, come tanti apatici lemmings, dentro quattro cabine elettorali in mogano, a volta, piazzate proprio al centro della Camera. E senti una voce monotona, stanca, ripetitiva... "De Luca Francesco, Scapagnini, De Micheli, De Pasquale, Desiderati, De Torre, Di Biagio, Della Vedova...".

Il Parlamento Fantasma Crisi Declassamento Moody's Standard & Poor's DDL Intercettazioni Votazioni Giudice Corte Costituzionale

Allora fai un po' di zapping nell'attesa che inizi la discussione sul DDL Intercettazioni. Passa un'oretta e ributti l'occhio su quel che accade alla camera: "Fadda, Faenzi, Fallica, Farina Gianni, Berruti, Farina Coscioni, Farinone, Fava...". Una noia mortale. Sullo sfondo, il chiacchiericcio da mensa scolastica di gente che perde tempo, perché ovviamente non è in Commissione né è impegnata in un qualunque intervento.
 Torni dopo un'altra oretta (ormai sono le 11) e la voce continua, implacabile, con la cadenza di una testuggine che si guadagna la riva: "Marchi, D'Alema, Marchignoli, Marchioni, Molteni Laura, Molteni Nicola, Mondello, Montagnoli..."
 Ma non è possibile... Il paese è appena stato declassato per la seconda volta, la gente è senza lavoro e questi fanno ore ed ore di coda, nell'attesa di essere nominati, uno alla volta, passando il tempo nella maniera più improduttiva possibile? Così cerchi di capire, e trovi un laconico: "Mercoledì 5 ottobre 2011 - Il Parlamento in seduta comune è riunito per la votazione per l'elezione di un giudice della Corte costituzionale."
 Cioè, fatemi capire, avete buttato una intera mattinata di lavoro solo per votare una singola nomina? Volete dirmi che nel 2011 non avete un sistema per votare in 30 secondi, ognuno dal suo posto, lasciando il vostro prezioso tempo alle questioni più urgenti, che meritano un'attenzione immediata?
 Niente da fare: "Palmieri, Palomba, Palombo, Paniz, Perselli, Paolini, Papa, Parisi Arturo...". Alle 11.30 Buttiglione annuncia che "si è così esaurita la prima chiama dei deputati. Si proceda alla seconda chiama". Come scusa... devono pure fare un'altra "chiama", interamente, daccapo??
 Credo non ci sia rappresentazione migliore della nostra inefficienza a livello di Paese, di classe dirigente, di capacità di innovazione, di competitività. Mentre oggi in aula passavano il tempo a scambiarsi le figurine su una singola nomina, all'estero lavoravano. E la differenza, anzi lo spread, si vede!
 Il 14 giugno scorso avevo pubblicato il simpatico oggettino che trovate in cima al post. Si chiama "Il Parlamento Fantasma", che illustra bene quello che costa al paese, in tempo reale, un Parlamento che non legifera in materia economica. Guardatelo ma state attenti: potreste incazzarvi di brutto!

Tratto da www.byoblu.com