domenica 23 ottobre 2011

I LIMITI ALLA CRESCITA – ALTRI QUARANT'ANNI?



Quarant’anni fa, quando lessi “I Limiti della Crescita”, credevo già che l’aumento dell’uso totale delle risorse (tempi di popolazione per uso pro capite delle risorse) si sarebbe fermato entro i successivi quarant’anni. L’analisi modellistica del gruppo di Meadows era una forte conferma di quella convinzione comune basata sui primi principi risalenti almeno a Malthus e ai primi economisti classici.

Beh, siamo quarant’anni dopo e la crescita economica è ancora l’obiettivo numero uno delle politiche di praticamente ogni nazione: questo è innegabile. Gli esperti affermano che i “neo-malthusiani” si erano semplicemente sbagliati e che continueremo a crescere. Ma io penso che la crescita economica sia già finita nel senso che la crescita che continua ora è antieconomica, costa più di quello che vale marginalmente e ci rende più poveri piuttosto che più ricchi. Possiamo ancora chiamarla crescita economica, o semplicemente “crescita” nell’opinione confusa che la crescita debba essere sempre economica. Io sostengo che, specialmente nei paesi ricchi, abbiamo raggiunto il limite economico di crescita, ma che non lo sappiamo e disperatamente nascondiamo il fatto con difetti di contabilità nazionale, perché la crescita è il nostro idolo e smetterlo di adorare è anatema.
Non una confutazione il chiedermi se preferirei vivere in una caverna e congelare al buio piuttosto che accettare tutti i vantaggi storici della crescita. Certo che no. I vantaggi della crescita nell’insieme sono, a mio avviso, superiori ai costi totali, sebbene alcuni storici ne dibattano. In ogni caso non possiamo annullare il passato e dovremmo essere grati a coloro che hanno sostenuto i costi della creazione della ricchezza di cui godiamo ora. Ma, come gli economisti dovrebbero sapere, sono i costi e benefici marginali (non totali) che sono rilevanti per determinare quando la crescita diventa antieconomica. I vantaggi marginali diminuiscono perché soddisfiamo inizialmente i nostri bisogni più urgenti; i costi marginali aumentano perché per prime usiamo le risorse più facilmente accessibili e sacrifichiamo gli ecosistemi meno vitali mentre cresciamo, convertendo la natura in manufatti. I benefici marginali di una terza auto valgono i costi marginali degli sconvolgimenti climatici e dell’innalzamento del livello dei mari? La diminuzione dei vantaggi marginali tenderà a essere pari all’aumento dei costi marginali, fino a che i benefici netti saranno positivi, proprio quando i vantaggi netti cumulativi di crescita del passato sono al massimo! Nessuno è contro l’essere più ricco, almeno fino ad un qualche sufficiente livello di ricchezza. Che ricco sia meglio di povero è lapalissiano. Che la crescita ci faccia diventare più ricchi è un errore elementare persino all’interno della logica di base dell’economia standard.
Come suggerito sopra, non vogliamo davvero sapere quando la crescita diventa antieconomica, perché allora dovremo smettere di crescere e non sappiamo come gestire un’economia stazionaria mentre siamo religiosamente impegnati in un’ideologia del “senza limite”. Vogliamo credere che la crescita possa “curare la povertà” senza condivisione e senza limitare la dimensione della specie umana nel creato. Per mantenere questo stato di illusione confondiamo i due distinti significati del termine “crescita economica”. A volte ci si riferisce alla crescita di ciò che chiamiamo economia (il sottosistema fisico del nostro mondo costituito dalle scorte di popolazione e di ricchezza e dal flusso di produzione e consumo). Quando l’economia diventa fisicamente più grande, la chiamiamo “crescita economica”. Ma il termine ha anche un secondo significato, molto diverso: se la crescita di qualcosa causa benefici che aumentano più dei costi, allora chiamiamo anche questo “crescita economica”, crescita che è economica nel senso che produce un vantaggio o un profitto netto. Ora, la “crescita economica” nel primo senso del termine comporta una “crescita economica” nel secondo senso del termine? No, assolutamente no. L’idea che un’economia più grande debba sempre farci diventare più ricchi è pura confusione.
Che gli economisti debbano contribuire a questa confusione è sconcertante, perché tutta la microeconomia è dedita a cercare la dimensione ottimale di una determinata attività, il punto oltre il quale i costi marginali superano i benefici marginali e una crescita ulteriore diventerebbe antieconomica. Ricavo marginale=Costo marginale è anche chiamato “regola del quando fermarsi” per la crescita di un’azienda. Perché questa semplice logica dell’ottimizzazione scompare nella macroeconomia? Perché la crescita della macroeconomia non è soggetta a una regola analoga? 
Ci rendiamo conto che tutte le attività microeconomiche sono parte di un più grande sistema macroeconomico e che la loro crescita causa lo spostamento e il sacrificio di altre parti del sistema. Ma la stessa macroeconomia è pensata per essere omnicomprensiva e quando si espande, presumibilmente nel vuoto, non sposta nulla e quindi non comporta alcun costo di opportunità. Ma questo è ovviamente falso. Anche la macroeconomia è una parte, un sottosistema della biosfera, una parte della Grande Economia dell’ecosistema naturale. Anche la crescita della macroeconomia impone maggiori costi opportunità di un ridotto capitale naturale, che ad un certo punto limiterà un’ulteriore crescita.
Ma alcuni dicono che se il nostro metro empirico di crescita è il PIL, basato sull’acquisto e vendita volontari di beni e servizi sui mercati liberi, allora ciò garantisce che la crescita consiste sempre in beni, non “mali”. Questo perché le persone comprano volontariamente solo beni. Se comprassero dei “mali” dovremmo ridefinirli come beni! Abbastanza lontano dal vero, che però non è così lontano. Il mercato libero non prezza i mali, ma non di meno essi vengono inevitabilmente prodotti insieme ai beni. Dato che i mali non hanno prezzo, la contabilità del PIL non può sottrarli, mentre registra la produzione aggiuntiva di anti-mali (che hanno un prezzo) e li conta come beni. Per esempio, non sottraiamo il costo dell’inquinamento come un male, ma aggiungiamo il costo della pulizia dall’inquinamento come un bene. Questo è un conteggio asimmetrico. Inoltre conteggiamo il consumo del capitale naturale (esaurimento delle miniere, pozzi, falde, foreste, pesca, suolo, eccetera) come se si trattasse di reddito invece che di prelievo di capitale: un colossale errore di contabilità. Paradossalmente quindi il PIL, qualsiasi cosa misuri, è anche il migliore indice statistico che abbiamo del totale dell’inquinamento, dell’esaurimento delle risorse, della congestione e della perdita di biodiversità. L’economista Kenneth Boulding ha suggerito, in modo solo in parte ironico, di ridefinire il PIL come Costo Interno Lordo. Almeno metteremmo costi e benefici in una contabilità separata per il confronto. Gli economisti e gli psicologi scoprono ora che, al di là di una soglia sufficiente, la correlazione positiva tra il PIL e la propria percezione della felicità scompare. Questo non sorprende perché il PIL non è mai stato inteso come misura della felicità o del benessere, solo come attività; alcune sono piacevoli, alcune salutari, alcune purtroppo necessarie, alcune correttive, alcune banali, alcune dannose e alcune stupide.
In sintesi, crescita economica in senso 1 (dimensioni) può essere, e negli USA è diventata, crescita antieconomica in senso 2 (benefici netti). Ed è il senso 2 che conta maggiormente. Penso che i Limiti alla Crescita nel senso 2 siano stati raggiunti negli ultimi quarant’anni, ma che noi li abbiamo sempre volontariamente negati, con gran danno per la maggior parte di noi ma a beneficio di un’élite minoritaria che continua a spingere l’ideologia della crescita perché ha trovato modi per privatizzare tali benefici di crescita socializzando i persino maggiori costi. La domanda principale nella mia testa è: “Possono la negazione, l’illusione, l’offuscamento durare altri quarant’anni?” E se continuiamo a negare i limiti economici della crescita, quanto ci rimane prima di schiantarci contro i più discontinui e catastrofici limiti biofisici? Spero che nei prossimi quarant’anni potremmo finalmente riconoscere e adattarci a un limite economico più plausibile.
Adattarsi significherà passare dalla crescita a uno stato stazionario dell’economia, uno quasi certamente su scala più piccola dell’attuale. Per scala intendo una misura fisica dell’economia rispetto all’ecosistema, probabilmente misurata meglio attraverso la produttività delle risorse. E, ironicamente, il migliore indice esistente che abbiamo per misurare questo è il PIL reale!
Devo confessare che sono sorpreso che tale negazione abbia resistito per quarant’anni. Credo che per svegliarsi ci sia bisogno di qualcosa come un pentimento e una conversione, per metterla in termini religiosi. È inutile “prevedere” se avremo la forza spirituale e la chiarezza razionale per una tale conversione. La previsione della direzione della storia si fonda su un determinismo che nega scopo e sforzi come indipendentemente causali. Nessuno vince un premio per predire il suo comportamento. La previsione del comportamento degli altri è problematica perché sono così simili a noi. E se siamo veramente deterministi allora non importa cosa prediciamo, anche se le nostre predizioni sono determinate. Come non-determinista spero e lavoro per porre fine alla mania della crescita entro i prossimi quarant’anni. Questa è la mia scommessa personale nel futuro a medio termine. Quanta fiducia ho di vincere la scommessa? Circa il 30%, forse. È del tutto plausibile che esauriremo totalmente le risorse della terra e i sistemi di supporto vitale nei tentativi rovinosi di crescere continuamente: forse attraverso conquiste militari delle risorse di altri paesi e dei rimanenti beni comuni, forse con tentativi di conquista delle “alte frontiere” dello spazio. Molti pensano, solo perché abbiamo gestito un paio di acrobazie nello spazio con spese enormi, che la fantascienza della colonizzazione dello spazio siderale sia tecnicamente, economicamente, politicamente ed eticamente praticabile. E queste sono le stesse persone che ci dicono che sulla Terra un’economia di stato stazionaria è un compito troppo difficile per essere realizzato.

Tratto da www.comedonchisciotte.org

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