lunedì 23 luglio 2012

Lettera di un capotreno


Oggi ho pianto come un bambino. Come non mi capitava da molto tempo. Ricordo quando smarrii all’età di
sei anni la mia macchinina preferita. Furono tre giorni ininterrotti di lacrime poi, come spesso capita, il
tempo produce un oblio nella mente e un altro gioco diventò il partner delle mie giornate.
Un altro episodio fu legato a un pianto inconsolabile ma liberatorio dopo anni di malattia. La morte di mio
padre.
Oggi ho pianto per il mio lavoro. Per le delusioni e i tradimenti. Per la mia famiglia che non vedo più. Per un
lavoro che mi stanca e mi stressa. Per un esaurimento psicofisico.  Per una vita dedicata al dovere.
Ricordo qualche giorno or sono. Mi sveglio alle 7.00 e tutti dormono ancora. Colazione rapida, doccia e via
al lavoro. Comincio alle 10.00. Come ogni giorno ho atteso il treno per iniziare la giornata. Sono un
capotreno.
Oggi devo andare a Milano, proseguire per Bologna. Giungere a Firenze, cambiare treno per Pisa e
finalmente Genova. Si parte con una vettura fuori sevizio. Ci avvisano che i viaggiatori non possono
essere“riprotetti” perché il treno è pieno. Una voce fresca al telefono parla e, dal suo ufficio che trasuda
una freschezza di aria condizionata e profumo, posso immaginare la sua camicia pulita e inamidata. Ci
avverte perentoriamente che lui non può farci niente. Di arrangiarci. Il dramma si compie. Siamo assaliti da
viaggiatori che pretendono il loro posto e avviano le danze con quello che è diventato il solito tran tran.
Insulti, minacce di denunce, urla ossessionate e intimidazioni. Le nostre camice appena indossate sono già
stropicciate e piene di sudore, il nostro viso lavato è già una maschera che dimostra cinque anni di più.
Il viaggio comincia.  I viaggiatori sono nei corridoi e, immancabilmente, si guasta l’aria condizionata nella
nostra vettura. Si riavviano come da un vecchio registratore le solite lamentele: urla, minacce di
denunce.Contemporaneamente il nostro corpo si trasfigura in un informe appicicatume di sudore
maleodorante. Arriviamo a Milano ma dobbiamo correre perche siamo in ritardo. Chiudi il treno, ascolta gli
ultimi improperi dei viaggiatori, porta i documenti e precipitati sull’altro convoglio che, sorpresa ma non
troppo, ha una vettura senza aria condizionata. Gli effetti li conosciamo a memoria
Arriviamo a Pisa. In mezz’ora dobbiamo correre alla mensa, ficcarci in gola cibo solido insapore e
precipitosamente andare al binario perché il treno è in perfetto orario. E ti pareva.
Ovviamente il ritardo lo accumula dopo e i nostri amici viaggiatori perderanno le coincidenze. Chiamo chi di
dovere. Dall’alto del suo fresco ufficio impartisce ordini: ” fai questo, chiedi questo, domanda dove, come,
chi……e in fretta perché dobbiamo organizzarci". " Scansafatiche di un capotreno" pensa lui dal suo loculo
in cui l’aria condizionata funziona sempre.
Arrivo a destino disfatto. Cambio la divisa che dovrà essere lavata e corro a casa. Intanto il telefono squilla:
sono i “capi”. Ti chiedono cosa è successo oggi.
“ Devi scrivere una relazione e portarmela domani, ovviamente in orario di ufficio. E non importa se domani
inizi alle 18.00 arriverai prima”.Giungi a casa ma la tua famiglia ha già mangiato e i bambini dormono.  Mangio da solo mentre la mia
compagna mi saluta perché è stanca e va a dormire. Nella più totale solitudine finisco il mio frugale pasto e
vado a dormire.
Il giorno dopo mi sveglio solo. I bambini sono all’asilo e la mia compagna al lavoro. Mi lasciano un
bigliettino: “ Buona giornata papà”.
Faccio colazione da solo. Mi preparo la borsa perché oggi vado a dormire a Roma. Ennesimo giro
massacrante che mi terrà fuori di casa per ventiquattro ore.
Venerdì pomeriggio mi viene un dubbio sulla normativa. Chiamo in sindacato sono le 16.00. Mi risponde
una segreteria telefonica e, con voce fredda, m’informa che gli uffici sono chiusi fino a  lunedì alle 8.00.
Faccio due conti. SESSANTAQUATTRO ore di riposo nel week end e SEDICI ore tra un giorno e l’altro.
Aria condizionata sempre funzionante, uffici puliti, abiti lindi e profumati tutto il giorno. Privilegi guadagnati
con qualche discorso o qualche lettera sull’importanza della tutela dei diritti dei lavoratori.
Sono gli stessi che hanno proclamato l’importanza di lavorare di più, riposare meno e produrre di più
perché lo chiede l’Europa, il governo, i compagni o vattelappesca chi.
Oggi dovevo arrivare alle 19.00 in tempo per la festa di compleanno di mio figlio. Ma il treno ritarda. Tra le
mie lacrime di disperazione arrivo con tre ore e mezzo di ritardo. A casa i bambini sono già a letto. Le
candele consumate, i coriandoli per terra, la torta è fredda e lo spumante caldo. Sono io che vado a letto,
mi è passata la voglia di cenare. La mia compagna mi compatisce ma lo sguardo non mente. Ci stiamo
allontanando.
La settimana ferroviaria finisce. Dalle 14.00 di lunedì riprendo il servizio alle 14.00 di mercoledì. In pratica
un giorno di riposo e ringrazio perché la futura contrattazione prevederà una riduzione a trentacinque ore.
Martedì sono a casa ma, nella mia famiglia, gli impegni sono già organizzati. Lavoro, scuola, piscina, calcio,
pranzo dai nonni. Nella  mia unica giornata di riposo mi sveglio alla mattina solo. Faccio colazione solo.
Vado al supermercato solo. Mangio solo. Mi appisolo solo. Mi risveglio solo ed esco a fare due passi solo.
Mi siedo su di una panchina. Mi sento stanco e stressato. Mi sento senza nessuno. Domani ricomincerò a
lavorare con la stessa intensità e gli stessi problemi della passata. La mia famiglia sta vivendo e crescendo
senza di me penso di essere inutile e di non avere più una vita.  Penso e piango.
Piango mentre c’è qualcuno che con grande faccia tosta va a raccontare che stanno difendendo i lavoratori
che, il nuovo contratto, è una perla per la tutele dei diritti …. Articolano parole sulla crisi, sacrifici, redditi
aumentati e lavoro difeso dai licenziamenti. Privilegi per le loro cariche, privilegi per gli inidonei. Fiatano ma
forse non hanno mai parlato con un capotreno.

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