lunedì 17 dicembre 2012

Il Canada dice no ai cacciabombardieri F35, l'Italia va avanti


Il Canada dice no agli F-35. Lo ha annunciato qualche giorno fa il Ministro della Difesa Peter MacKay spiegando che il governo rifarà tutte le valutazioni in merito alla sostituzione dei 77 CF-18 attualmente in servizio e prenderà in esame soluzioni alternative all'acquisizione dei 65 cacciabombardieri F35 prodotti dalla statunitense Lockheed martin e originariamente commissionati dal governo.

Il passo indietro dell'esecutivo canadese arriva dopo una forte opposizione al progetto espressa sia dai partiti attualmente di minoranza (i moderati progressisti del "Liberal party" i socialdemocratici del "New Democratic party") sia dalla maggioranza dell'opinione pubblica. Il colpo di grazia al programma di acquisizione degli F35 è però arrivato da un rapporto del General Account Office (la Corte dei Conti canadese) e da una ricerca della società Kpmg. Entrambi questi studi hanno dimostrato come i reali costi del progetto erano notevolmente superiori rispetto a quelli stimati dal governo: inizialmente il governo canadese aveva stimato i costi dell'operazione in 9 miliardi di dollari per poi aumentarli a 16, ma le nuove ricerche hanno dimostrato che l'eventuale acquisizione dei cacciabombardieri F35, tenendo presenti gli ingenti costi di manutenzione e gestione, sarebbe costata circa 45,8 miliardi di dollari, cifra che sarebbe gravata sui bilanci dei prossimi 42 anni.
Attualmente anche altri governi stanno rivalutando la propria adesione al progetto Joint Strike Fighter: Norvegia e Australia lo hanno sospeso, mentre in Olanda i voti parlamentari di cancellazione non sono ancora stati messi in atto dal governo. In Italia, al contrario, non solo non si mette in discussione il progetto ma le forze politiche non hanno neanche instaurato un confronto democratico sull'argomento.
In italia invece lo scorso 11 dicembre, con 294 voti a favore, 53 astenuti e 23 voti contrari, la Camera ha approvato il disegno di legge delega per la revisione delle Forze Armate del Ministro della Difesa Ammiraglio Giampaolo Di Paola. Ciò, nonostante il sit in davanti a Montecitorio organizzato da Tavola per la Pace, Sbilanciamoci e Rete italiana per il disarmo e nonostante anche in Italia si sia scoperto che i costi del progetto siano decisamente superiori rispetto a quelli dichiarati dal governo.
Ad ammetterlo è stato il generale Claudio Debertolis, segretario generale della Difesa che, dopo aver parlato nel febbraio scorso in audizione alla Camera di un prezzo per i primi 3 F-35A di 80 milioni di dollari per il solo aereo "nudo", ha poi dichiarato intervistato da Silvio Lora Lamia per analisidifesa.it che il prezzo reale ammonta a 127,3 milioni per aereo "puro" mentre, considerando tutte le spese, gli 80 milioni originariamente dichirati devono essere più che raddoppiati. In generale il costo dell'acquisizione dei 90 F35 commissionati dall'Italia, di cui 30 nella versione B che è molta più costosa rispetto a quella A, dovrebbe aggirarsi intorno ai 15 miliardi di dollari, contro i 10 previsti dal governo, senza prendere in considerazione le notevoli spese di manutenzione e gestione che fanno lievitare i costi in maniera esorbitante.
Ma le spese non finiscono qui. L'Italia è, infatti, l'unico paese che fa parte del progetto, oltre gli Stati Uniti, ad aver già costruito uno stabilimento per i nuovi cacciabombardieri, ossia il cosiddetto FACO (Final Assembly and Check Out). Spesa già sostenuta 800 milioni di euro, ovviamente tutta sulle spalle dei contribuenti.
Anche su questo tema sono state diffuse notizie non veritiere: negli ultimi dodici anni tutti i governi che si sono succeduti hanno legittimato questa spesa con la creazione di 10.000 nuovi posti di lavoro. Tale cifra è stata smentita da Finmeccanicca che in audizione alla Camera ha parlato di 2.500 nuovi posti di lavoro complessivi nel momento di picco di produzione, pur precisando che la stima deve essere ulteriormente abbassata se si considera che i caccia che dovrebbe acquistare l'Italia  sono meno dei 100 inizialmente promessi agli Stati Uniti.
Ma allora da dove deriva l'assoluta necessità di acquistare i cacciabombardieri F35? Lo scorso luglio Francesco Vignarca, coordinatore della Rete Italiana per il Disarmo, riferendosi al Ministro di Paola si è chiesto: "Forse perché dieci anni fa ha firmato lui l'accordo per la fase di sviluppo del programma venendo definito dagli americani il miglior amico dell'F35?".
Recentemente Vignarca dalle pagine de ilfattoquotidiano.it ha parlato anche degli interessi che le banche e la finanza avrebbero in merito al proggetto e, più in generale, nel settore delle armi"La finanza- spiega Vignarca- gioca un ruolo implicito nel settore sostenendo anche il collocamento di azioni delle società e i fondi di investimento. E lo fa perché quello delle armi non è un mercato, è un settore senza concorrenza dove la committenza è pubblica e consente di accaparrarsi commesse dai ritorni altissimi garantiti dallo Stato. Tutti gli attori hanno vantaggi: produttori e finanziatori incassano denaro, i manager pubblici, portano a casa bonus e stock option, i ricavi delle aziende, e qui torna la finanza, vanno dritto nei paradisi fiscali. L'80% delle società della galassia Finmeccanica ha sede fuori dai nostri confini, anche in paesi dalle facilitazioni fiscali come Olanda e Lussemburgo. Gli utili li fa così, non pagando le tasse allo Stato che ne è proprietario e creando con gli utili possibili provviste per le tangenti che dominano globalmente i meccanismi di commercio delle armi, da soli responsabili del 50% della corruzione mondiale".

Tratto da http://it.ibtimes.com

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