Il COMU: il
mercatino dell’usato?
In questo caso ad essere
usato non sono persone ma un’idea. La cosa in sé può non sembrare
grave (un’idea che ha significato molto in un certo momento storico
può anche muovere sentimenti nostalgici e, perchè no, tentativi
giusti per cercare una sua riproposizione nel presente. L’opposto
di questo è rappresentato dalla tendenza che attraversa la società
rispetto al sistemati co rifiuto delle ideologie, che ha visto
recentemente anche il Partito della Rifondazione Comunista abiurare
gli schemi classici dell’ideologia comunista così come aveva già
fatto prima il P.C.I., questo nel nome di una società che cambia: ma
chi la cambia, in che modo e perché? E non per un’evoluzione di
conoscenza e di pensiero), lo diventa se si entra nel merito.
Un conto è
rilanciare i temi classici del comunismo tutt’ora attuali
considerando che poco o niente è cambiato in una società
profondamente ingiusta in cui persistono sotto forme diverse le
stesse condizioni di sfruttamento di sempre, un conto è invece
cercare di rilanciare un’idea già deviante nella sua origine
storica: il macchinista quale soggetto sindacale privilegiato. Se
l’intelligenza di gestione del capitalismo, attraverso una serie di
iniziative mirate, ha premeditatamente stravolto tutta la geografia
del mondo della produzione per rendere più difficile una sintesi del
conflitto, che prima invece girava attorno alla figura dell’operaio
massa, com’è possibile pensare e a ragione sperare che, nello
specifico delle ferrovie, sia credibile e possibile rilanciare il
macchinista quale figura conflittuale centrale e trainante di tutto
il mondo delle ferrovie? Le ferrovie così come le conoscevamo nn
esistono più; l’avvenuta divisionalizzazione, alla quale, se
ricordo bene, nessun soggetto sindacale e politico si è veramente
opposto con convinzione, ha spezzato l’unità del ferroviere (anche
quella di una categoria compatta come lo era prima quella del
macchinista). Non era forse questo l’obiettivo principale
dell’Azienda, della classe dirigente politica e sindacale? Ma non
solo la ferrovia non è più quella a cui si pensava fino a dieci
anni fa, è tutto il mondo del lavoro che hanno cambiato, è
l’individuo che si è trovato cambiato senza accorgersene,
disorientato com’è in un ambiente in cui si insinuavano input
nascosti che si sarebbero dati a conoscere compiutamente solo quando
sarebbe stato troppo tardi. Sinceramente, allo stato attuale delle
cose, non saprei cosa proporre, ma è indubbio che va
ricercata e
ricostruita un’unità politica dal basso, che ha a che fare più
con la qualità della vita che con la cultura del lavoro salariato-
con tutto ciò che questo comporta.
Vincenzo De Santo
Risponde il
responsabile di Redazione.
In questa lettera inviata
al nostro giornale, Vincenzo ci contesta il ruolo storico di
avanguardia di lotta che il macchinista ha rappresentato nella storia
delle ferrovie e del sindacato italiano. Per rispondere dovrei
partire dal macchinista anarchico Castrucci (1872-1952), fondatore
del giornale “In Marcia”, perseguitato dal regime fascista che lo
licenziò e gli bruciò la casa. Ma per ragioni di brevità, partirò
dalla nascita del COMU. Quel sindacato, che aveva assegnato una
funzione di guida ad un giornale (“Ancora in Marcia”), che per
definizione è il luogo delle idee e del dibattito, invece che ad un
esecutivo, già la dice lunga sulla nostra storia, ma l’anomalia e
la stranezza del COMU stava nel proprio STATUTO nel quale si vietava
il distacco sindacale e tutti, proprio tutti, dal cordinatore
nazionale all’ultimo delegato dovevano passare sempre e
frequentemente al vaglio dei lavoratori attraverso le elezioni della
STRUTTURA DI BASE (un’altra bizzarria). In pratica non era
possibile per un segretario nazionale o regionale occupare quel posto
senza essersi presentato mai alle elezioni della base. Caro Vincenzo,
come potrai ben capire, queta organizzazione faceva paura perché,
come ben rappresenta il logo della nostra modesta testata, si muoveva
fuori dai binari prestabiliti dal POTERE. Da qui nasceva il livore
del ceto politico e sindacale nei nostri confronti. Siccome il
discorso è lungo, per ulteriori approfondimenti, ti rimando
all’archivio dell’Università Federico II di Napoli dove potrai
trovare decine di tesi di laurea su questo argomento, oppure alla
lettura di diversi libri di storia sindacale italiana tra cui: A.
Accornero, La parabola
del sindacato. Ed. Il
Mulino, E.Lombardi, COBAS:
una spina nel fianco.
Ed.Sovera Multimedia, R.Armeni, Gli
extraconfederali.
Ed.Lavoro. Ma se ti sembra troppo gravoso questo compito che ti ho
assegnato, te ne dò uno meno faticoso e addirittura piacevole:
ascolta la canzone di Francesco Guccini, La
locomotiva. Un
abbraccio fraterno.
Rosario
Piccioli
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